Il Codice De Jorio, il primo codice marittimo della storia fu scritto a Napoli
Apr 13, 2014 - Domenico Romano
Continua la nostra interminabile indagine fra le meraviglie ed i primati del Regno delle due Sicilie. Il governo dei Borbone, la qualità del paesaggio meridionale e le abilità di tutti gli abitanti del Sud hanno permesso la realizzazione di cose mai viste nella nostra penisola, come la prima linea ferroviaria Napoli – Portici. Questo primato è stato realizzato grazie a due grandi poli siderurgici, i quali a loro volta rappresentano una grande conquista meridionale. Parliamo della ferriera di Mongiana e della prima fabbrica di locomotive di Pietrarsa.
Non fu soltanto sulla terraferma che il Mezzogiorno diede prova della sua grandiosità. Basti pensare alla realizzazione della Ferdinando I e del Sicilia, rispettivamente il primo piroscafo nel Mediterraneo e il primo ad attraversare l’Oceano Atlantico, per giungere in America. Inoltre, sempre per quanto riguarda il mare, è da ricordare la realizzazione del primo cantiere navale del Mediterraneo, sito a Castellammare di Stabia. Oggi ci occuperemo di un altro grande risultato legato non solo all’ambiente navale ma anche a quello giuridico.
Infatti per questa volta ci occuperemo del primo codice marittimo della storia d’Italia, ovvero il Codice De Jorio.
Michele De Jorio nacque a Procida nel 1738. Dopo aver compiuto gli studi di diritto pubblica, nel 1761, Discorso sopra la storia de’ Regni di Napoli, e Sicilia. Per delucidare le mutazioni avvenute dal principio della loro fondazione fino a’ nostri giorni, e la continuazione della Religione, opera molto apprezzata dai suoi contemporanei, nonostante la giovane età in cui tale saggio è stato redatto. Nonostante il successo di tale opera, De Jorio decide di dedicarsi all’attività di avvocato per circa 20 anni.
Alla fine degli anni Settanta iniziò a pubblicare quella che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere una monumentale Storia del commercio e della navigazione dal principio del mondo sino ai giorni nostri. L’opera resta incompiuta, eppure gli apre le porte per l’Accademia di scienze e belle lettere. Fu proprio qui che Ferdinando IV di Borbone e il suo Primo Ministro John Francis Edward Acton gli diedero l’incarico di redigere il primo codice marittimo italiano.
L’opera, assai poderosa (4 tomi di complessive 2411 pagine), è da ritenersi di rilievo e senza dubbio la principale del De Jorio sia per l’ampio respiro dell’analisi e della ricerca in campo economico e giuridico, sia per la padronanza della letteratura specifica o non a livello europeo, sia per la complessità e la novità della trattazione, anche rispetto a paesi più evoluti.
Sia in campo economico, sia in quello giuridico il De Jorio era un eclettico. In economia era fisiocratico quando parlava dell’agricoltura, mercantilista quando accennava alla bilancia commerciale, fautore di una conciliazione tra liberismo e protezionismo quando si occupava dei traffici; evidenti appaiono i legami con le teorie economiche del Genovesi e del Filangieri. La sua impostazione giuridica è chiaramente basata sul giusnaturalismo e sull’illuminismo del Wolff e del Vattel, che univa strettamente lo stato di natura con quello di diritto.
Allo stesso tempo il D. era sensibile alla concezione storico-sociologica del Montesquieu ed era profondamente legato al diritto romano. Ne scaturisce quindi da un lato un certo relativismo della legislazione marittima, in funzione delle condizioni ambientali e storiche dei vari popoli e il presupposto dell’importanza della conoscenza della storia per lo studio del diritto; dall’altro lato il riconoscimento al diritto romano della capacità sistematica, della sua diffusione come diritto comune presso tutti i popoli e soprattutto della sua validità teorica assoluta, in quanto “ragione scritta”. Di ispirazione romanistica è chiaramente la parte normativa del Codice, suddivisa in tre sezioni: le persone, le cose e le azioni del mare.
Oggi giorno l’opera è di fondamentale importanza per chiunque voglia intraprendere studi di diritto marittimo. Quest’ennesima pagina della storia meridionale pone al centro della questione l’inattaccabile qualità degli studi e della formazione borbonica, negando quindi ogni tesi relativa alla presunta ignoranza che vigeva nei confini del Regno delle Due Sicilie e all’altrettanto fantasiosa minorità naturale dei meridionali.