Si sono spese molte parole negative sull’esercito borbonico, spesso inquadrato come un organismo eccessivamente dinastico ed indisciplinato sotto l’aspetto tattico. In realtà esso fu uno strumento militare molto valido che, in diversi momenti, si contraddistinse per un elevato livello di efficienza e pericolosità.
Figura cardine della sua nascita fu Carlo di Borbone. Dopo la conquista delle Sicilie il re aumentò le sue milizie a 40 battaglioni di fanteria, 18 di cavalleria, un corpo considerevole di artiglieri ed uno d’ingegneri.
Nel 1740 l’esercito napoletano contava 18.000 fanti, suddivisi in 14 reggimenti, 25.000 cavalieri e dragoni in 7 reggimenti, oltre alle guardie reali, Svizzeri, l’artiglieria e qualche corpo ausiliario. Nel 1786 si ebbero importanti riforme grazie all’impegno del segretario di guerra e marina John Acton. Il bilancio militare, fermo in quegli anni a 2,7 milioni di ducati, ascese a 3.180.000 ducati. Le iniziali 15.000 unità vennero raddoppiate grazie alla presenza di volontari. L’esercito di Ferdinando IV, a differenza di quanto si crede, fu protagonista di ottime prove a Tolone, Malta e nelle guerre di Russia dove si mostrò sempre ben organizzato tanto da destare l’ammirazione e il plauso di Napoleone Bonaparte.
Fu caratteristica di questo periodo la fioritura di istituti d’istruzione militare che dovevano disciplinare, secondo i dettami della più sofisticata scienza militare, quegli uomini che avrebbero ricoperto ruoli di comando. Napoli rispose prontamente a questa nuova corrente in quanto nel 1744 venne istituita l’accademia d’artiglieria e nel 1754 quella degli ingegneri; nel 1769 entrambe vennero fuse nella Reale Accademia Militare.
Dopo le due parentesi francesi ed il ritorno dei Borbone, le truppe necessitavano di una riorganizzazione. Ferdinando I (precedentemente Ferdinando IV), però, conservò i provvedimenti e le migliorie apportate dai Napoleonidi. Dopo aver riunito sotto di sé il Regno di Napoli e quello di Sicilia in un unico Stato, fece lo stesso con i rispettivi eserciti. A partire dal 1816 una serie di provvedimenti riorganizzava le armate delle Due Sicilie in divisioni militari territoriali. La fusione degli eserciti di Napoli e Sicilia avvenne con successo e vennero decretati 60.000 effettivi in tempo di pace.
Ferdinando II, a differenza del padre e del nonno, aveva grandissima fiducia nelle capacità militari dell’esercito, organismo verso il quale dedicò moltissime attenzioni ed energie. Il re aprì la sua stagione di riforme militari migliorando il corredo delle armi e la disciplina delle sue armate. Naturalmente predisposto al comando ebbe una grande presa sulle milizie che lo servirono con sincera fedeltà, tale situazione rese possibile la creazione di uno strumento efficace per la sicurezza esterna e la stabilità interna.
Nel decennio conclusivo del Regno delle Due Sicilie l’esercito e la marina erano forniti di ogni cosa e il Collegio della Nunziatella fu vivaio inesauribile di eccellenti ingegneri militari. Alla vigilia dello sbarco di Garibaldi, l’armata di Francesco II contava circa 3.000 ufficiali e 90.000 soldati. L’ultimo Borbone, spesso dipinto come incapace al comando, anche nel momento peggiore e sebbene mal consigliato dai suoi ministri, diede ottime direttive militari rimanendo, però, sostanzialmente inascoltato. Tardivo fu lo scatto d’orgoglio delle milizie che determinò la vittoria sul Volturno. Molto più valorosi dei generali, ormai non più legati alla causa di Francesco II, si dimostrarono i soldati. La loro abnegazione e lealtà nei confronti della dinastia li portò a Gaeta, eletta ad ultimo baluardo della monarchia borbonica, teatro di un assedio disumano durato 102 giorni.
Il 10 marzo 1861 l’esercito dei Borbone delle Due Sicilie terminava la sua storia.
Fonti:
– Tommaso Argiolas, Storia dell’esercito borbonico.
– G. Boeri, P. Crociani, M. Fiorentino, L’esercito borbonico dal 1830 al 1861.
– Mariano d’Ayala, Napoli militare.