“Napoli diventerà cenere e fango”: così i napoletani sconfissero la furia di Hitler
Set 27, 2018 - Antonio Gaito
quattro giornate di napoli
La seconda guerra mondiale infuriava senza esclusione di colpi. I bombardamenti arrecavano morte e distruzione indiscriminatamente ed anche la città di Napoli pagò il suo tributo. Con l’avanzata degli Alleati nel Mezzogiorno d’Italia la città venne attraversata da una corrente che avrebbe generato le premesse per la liberazione del capoluogo campano dall’occupazione tedesca.
La data dell’8 settembre 1943 funse da spartiacque poiché entrò in vigore l’Armistizio di Cassibile. Visto il dissesto del Regio Esercito Italiano tutte le forze militari italiane furono in preda allo sbando. A Napoli la situazione era già molto complessa e la diserzione di diversi ufficiali, che in alcuni casi non disdegnarono il passaggio dalla parte del nemico, costituì un punto di non ritorno.
L’insofferenza per le angherie tedesche portò dapprima alle manifestazioni studentesche del 1°settembre e poi ad azioni armate più o meno organizzate. Il 9 settembre, a via Foria, alcuni agenti di pubblica sicurezza reagirono al tentativo tedesco di disarmarli e con un agguato riuscirono a catturare una ventina di soldati. Sempre nella stessa giornata alcuni cittadini si scontrarono con le truppe della Wehrmacht. Fu il 10 settembre 1943, però, che si ebbe il primo scontro cruento nel quale morirono 3 marinai e 3 soldati tedeschi. La rappresaglia non tardò ad arrivare: i Nazisti, infatti, diedero alle fiamme parte della Biblioteca Nazionale ed aprirono il fuoco sulla folla che era accorsa in strada.
L’11 settembre il colonello Walter Scholl assunse il controllo delle forze occupanti e proclamò il coprifuoco e lo stato d’assedio con l’ordine di passare per le armi tutti coloro i quali avessero commesso azioni ostili contro le truppe tedesche. Le rappresaglie e le fucilazioni continuarono ma il 12 settembre ci fu un episodio che indignò in modo particolare la popolazione. Sulle scale della sede centrale dell’università “Federico II” avvenne la fucilazione di Andrea Mansi, marinaio ventiquattrenne. La popolazione fu costretta con la forza ad assistere a tale abominio.
I Napoletani stremati e disgustati dalla situazione iniziarono a raccogliere le armi per la rivolta. Il 23 settembre, però, il colonnello Scholl adottò nuove misure repressive; per prima cosa ordinò lo sgombero di tutti coloro i quali vivevano sulla fascia costiera della città. Circa 240.000 persone dovettero lasciare la propria casa nel giro di poche ore, tale provvedimento era il preambolo di un’operazione clamorosa: la distruzione del porto.
Come se non bastasse lo Scholl pretese un servizio di lavoro obbligatorio. Tutti i maschi di età compresa tra i 18 e i 33 anni dovevano, in pratica, partire per i campi di lavoro in Germania. A tale chiamata risposero solo 150 persone sulle 30.000 previste. Il rastrellamento e la fucilazione degli inadempienti furono la goccia che fece traboccare definitivamente il vaso. La cacciata dei Tedeschi da Napoli era diventata una questione di vita o di morte.
Il 27 settembre aprì la fase di conflitti aperti. Nel quartiere del Vomero un gruppo di persone armate fermò un’auto tedesca uccidendo il maresciallo che era alla guida. Gli scontri continuarono in tutta la giornata in varie zone della città. Un tenente dell’esercito italiano, a capo di 200 civili, assaltò con successo l’armeria di Castel Sant’Elmo. In serata, venivano conquistati e depredati i depositi d’armi delle caserme di via Foria e di via Carbonara.
Il 28 settembre sempre più persone si unirono ai primi combattenti. Vennero liberati molti prigionieri tenuti nel Campo Sportivo Littorio (l’odierno Stadio Collana). Il giorno successivo, nonostante la superiorità dei mezzi tedeschi, gli insorti resistevano anche grazie a vari “capopopolo” che assunsero il comando delle operazioni.
Mentre la Wehrmacht continuava i bombardamenti, avveniva l’incontro tra Walter Scholl ed il tenente Enzo Stimolo. I Tedeschi avrebbero lasciato la città senza problemi in cambio della libertà di tutti i prigionieri ancora trattenuti presso il Campo Sportivo Littorio. Era la prima volta in Europa che le forze naziste trattavano alla pari con degli insorti. Il 30 settembre, nonostante l’accordo raggiunto, gli scontri continuarono. Nelle loro operazioni di sgombero la Wehrmacht perpetrò distruzioni e stragi. Sconcertante fu il caso dei fondi dell’Archivio di Stato di Napoli che furono dati alle fiamme per ritorsione. Nella mattinata del 1° ottobre i primi carrarmati degli Alleati fecero il loro ingresso nel capoluogo campano.
Gli storici non sono concordi sul numero complessivo di vittime. Secondo alcuni morirono 168 militari e partigiani e 159 cittadini, ma dai registri del cimitero di Poggioreale si arriverebbe ad un totale di 562 morti.
Le “Quattro Giornate di Napoli” sono state importanti per svariati motivi. In prima battuta hanno avuto un altissimo significato morale e politico. L’insurrezione, inoltre, negò ai Tedeschi la possibilità di organizzare una resistenza contro le forze alleate in città e scongiurò il piano di deportazione del colonello Scholl. Perfino la volontà di Adolf Hitler venne sconfessata da tale atto di coraggio in quanto il Füher aveva chiesto che Napoli fosse ridotta «in cenere e fango» prima della ritirata.
L’audacia e il sangue dei combattenti ebbero la meglio sugli oppressori e divennero l’emblema della resistenza e del desiderio di libertà e pace dei napoletani. Tutti gli esponenti del tessuto sociale partenopeo agirono prontamente per salvaguardare la loro identità di uomini e di popolo.
Fonti:
– Barbagallo Corrado, Napoli contro il terrore nazista.
– De Jaco Aldo, La città insorge: le quattro giornate di Napoli.
– Caserta Renato, Ai due lati della barricata. La Resistenza a Napoli e le quattro giornate.