Napoli, dalla tangenziale al centro direzionale: il primo piano regolatore è dei Borbone
Feb 08, 2020 - Emilio Caserta
Sono ormai tantissimi i primati del Regno delle Due Sicilie riconosciuti tra gli italiani e gli europei. La sensazione è che spesso la storiografia ufficiale faccia fatica ad accettare il fatto che molti primati provengano da quel Sud che l’Italia da circa 160 anni cerca di raccontare in modo diverso da quello che era. Molti primati (tra gli oltre 130) sono stati raggiunti tra il 1734 (anno dell’inizio del regno borbonico) ed il 1860 (la fine dell’indipendenza delle due Sicilie).
E proprio alla fine delle Due Sicilie si legano significativamente alcuni “record”: la Prima Borsa Merci in Italia e seconda Borsa Valori dell’Europa continentale, la più bassa percentuale di mortalità infantile, il più alto numero di centenari in Italia, la più alta percentuale di medici per abitanti in Italia, la più alta quotazione di una rendita statale (120% alla Borsa di Parigi), minore percentuale di emigranti in Italia, maggiore quantità di moneta circolante in Italia e molto altro. Tra i tanti, ci colpisce l’ufficializzazione del “primo piano regolatore per la città di Napoli”, piano che però ha visto di fatto la sua realizzazione nel tempo.
Il culto del bello e della cura paesaggistica ha sempre caratterizzato il Regno di Napoli ed i suoi governanti (come possiamo vedere con le bellissime costruzioni storiche pervenute fino ad oggi), ma i Borbone raggiunsero anche questo primato e nel 1840 “avvicinarono” le fisionomie urbanistiche di Avellino, Caserta, Salerno, Bari, Potenza o Reggio Calabria a quella di Napoli. Chiaramente si intende proprio un piano strutturale comunale ed urbanistico per quei luoghi. Tutte queste città prima dell’unità d’Italia furono dotate di un Consiglio Edilizio che “attraverso l’alacre guida dell’Intendente di Provincia, portò innanzi su scala minore il modello di rinascita urbana già affermatosi nella capitale”.
Su “Il Libro dei Primati del Regno delle Due Sicilie” del prof. Gennaro De Crescenzo, tantissime le informazioni sui temi di carattere urbanistico con i decreti che caratterizzarono un cambio di rotta dei piani. A proposito di spunti per l’attualità e di una concezione ampia e moderna di “beni culturali”, un esempio significativo anche per i successivi risvolti: Ferdinando II di Borbone decise di far costruire una nuova strada che doveva collegare la zona occidentale della capitale con quella orientale girando intorno al colle di San Martino e fino a raggiungere la zona di Chiaia, in grande espansione in quegli anni. Era il marzo del 1854 e già due mesi dopo, il 18 maggio – si parla di efficienza borbonica – la famiglia reale inaugurò il primo tratto di strada.
Stiamo parlando praticamente della “prima tangenziale di Napoli”, che di fatto passava nel centro antico guardando palazzi, campanili, il Vesuvio, il mare di Mergellina e di Posillipo, il monte Faito, Sorrento, ovviamente meno urbanizzati ed inquinati di oggi, con paesaggi naturali da sogno, sicuramente la tangenziale più bella del mondo, il tutto grazie alla lungimiranza “legislativa” di Ferdinando II.
“Lungo la novella strada Maria Teresa sia vietato a’ proprietari dei fondi alzare edifici, muri o altre costruzioni le quali impediscano o scemino la veduta della Capitale, de’ suoi dintorni e del mare, dovendo rimanere affatto scoverta la visuale della strada medesima dalla Cesarea ad andare a Piedigrotta” (Sovrana Risoluzione, 31 maggio 1853).
Ferdinando dedicò la tangenziale all’amata moglie Maria Teresa d’Austria, mentre con l’arrivo di Garibaldi (senza alcun merito né diritto) la strada fu ribattezzata in quella che tutt’oggi conosciamo come “Corso Vittorio Emanuele”, in onore di un Savoia che neanche conosceva quel panorama.
Infine, come già detto, è nel 1860 che con Francesco II di Borbone si può parlare del primo moderno “piano regolatore”: Francesco II, infatti, pochi giorni prima di lasciare il Regno, diede le opportune indicazioni (con la collaborazione dell’architetto Sabbatini) per la progettazione urbanistica, proprio perché quello era un periodo in cui la popolazione era cresciuta molto e servivano anche grandi spazi per il commercio, per lo sviluppo delle industrie, insomma: per il lavoro. Il progetto prevedeva anche la creazione di un “centro direzionale” di Napoli proprio nell’area dove è stato realizzato circa 135 anni dopo, collegando questo centro al centro storico proprio con una linea ferroviaria “metropolitana” (Fonte: Regio decreto del 25 febbraio del 1860).