Quando si legge la storia di Napoli non si può fare a meno di provare un sentimento misto di orgoglio e rabbia. Da una parte i fasti di una grande capitale europea del passato, dall’altro il degrado e la decadenza cominciati inevitabilmente con la perdita dello status di capitale ed accentuati a partire dall’età Repubblicana. Emblema di tale discorso è la Villa Comunale, in origine Villa Reale, che è passata dall’essere un meraviglioso giardino in riva al mare alle condizioni pietose dell’epoca contemporanea. Che dolore passeggiarvi oggi e pensare che quel luogo fu realizzato per essere la delizia del re, uno dei posti più splendidi ed eleganti al mondo.
Un primo accenno di passeggiata risale alla fine del Seicento, quando non esisteva ancora via Caracciolo, nata a causa della colmata a mare eseguita dopo l’Unità d’Italia. La Riviera di Chiaia deve la sua definizione di riviera, infatti, al proprio vecchio affaccio sul mare. Nel 1697 il viceré di Napoli don Luis de la Cerda, duca di Medinacoeli, dapprima fece lastricare la strada fino ad allora terrosa (e fangosa, quando pioveva) e poi piantare due file di alberi parallele arricchite da 13 fontane. Un viale, insomma, che dalla porta di Chiaia giungeva fino alla Crypta Neapolitana, ovvero nell’area di Piedigrotta.
Bisognerà però aspettare il triennio tra il 1778 ed il 1780 affinché re Ferdinando di Borbone affidasse a Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi Vanvitelli, l’incarico di realizzare la Villa Reale. Il nuovo giardino si estendeva dall’attuale Piazza Vittoria fino alla cassa Armonica, disponendosi su file parallele di alberi ed ornato con fontane e statue di ispirazione mitologica. La Villa era cinta su tre lati da una cancellata, mentre quello che affacciava sul mare presentava un muretto basso da usare come seduta per ammirare il panorama del Golfo dominato dal Vesuvio. Non tutti potevano accedere alla Villa Reale: il Regolamento recitava letteralmente che era vietato l’accesso a “coloro che vestivano indecentemente, ai domestici in livrea, alle persone vestite di abiti laceri”.
Nel 1807 fu disposto il primo ampliamento per ordine di Giuseppe Bonaparte, durante la parentesi francese. La Villa Reale fu prolungata fino all’attuale Piazza della Repubblica (consolato americano). Con la conquista garibaldina e piemontese, nel 1860, l’accesso fu aperto a tutti.
Dal 1868 le è stato cambiato nome in Villa Comunale, un declassamento anche nel nome, e con la costruzione di via Caracciolo è stata privata dell’affaccio diretto sul mare. Il lungomare cambiò radicalmente volto: la colmata lo privò della spiaggia, che resta oggi il desiderio più sognato dai napoletani.
Il declino vero e proprio iniziò dopo la Seconda Guerra Mondiale: la Villa Comunale divenne luogo di prostituzione e criminalità, oltre che di degrado. Alla fine degli anni Novanta la Villa Comunale è stata restaurata operando una rottura con il passato: non fu rispettato l’originario stile neoclassico, fu dotata di una nuova cancellata con 26 varchi di accesso, nuovi punti di ristoro e la pista di pattinaggio. La pecca maggiore è la pavimentazione in tufo, che con il tempo asciutto si sgretola diventando sabbia e dà molto fastidio quando c’è vento, mentre quando piove si riempie di pozzanghere di fango. Non solo: specialmente negli ultimi anni la purtroppo ex delizia del re non viene curata neanche nel verde e il terriccio delle aiuole si è praticamente cementificato. Senza parlare dei cumuli di spazzatura nascosti dietro o all’interno delle piante e le generali condizioni indecorose.
Fonti:
– Storia di Napoli di Antonio Ghirelli, Einaudi, nona edizione;
– Breve storia della Villa Comunale dell’architetto Luigi Ugramin, file in pdf sul sito ufficiale del Comune di Napoli (consultato il 21 dicembre 2021)