Nel fiore del ‘700 napoletano, si configura un’importantissima novità non solo per il Regno partenopeo ma addirittura per l’intera Europa. Nel 1754 ad Antonio Genovesi, professore filosofo ed economista napoletano, viene affidata la prima cattedra mondiale di Economia, ovvero in “Commercio e Meccanica”, altro grande primato mondiale per il Sud. Egli si trasferì per motivi di studio da Salerno a Napoli per frequentare le interessantissime lezioni di filosofia della storia di Giambattista Vico, che diventò una costante presupposto ideologico fondamentale per l’architettura del suo pensiero economico influenzato indubbiamente dalle novità di Adam Smith e Locke. In questo periodo Napoli era uno dei maggiori centri culturali in cui fioriva la nuova ideologia del secolo: l’Illuminismo. Insieme a Milano infatti, la città partenopea non aveva soltanto traslato l’Illuminismo francese ma l’aveva senza dubbio interiorizzato e portato alla luce attraverso una differente visione strettamente correlata all’ambito socio – economico del Regno di Napoli.
In quest’ottica, Antonio Genovesi suppone che il mancato sviluppo economico e civile del Regno di Napoli e la decadenza dopo il suo periodo d’oro è causato dall’assenza della “fede pubblica” e dalla sovrabbondanza di una “fede privata” basata esclusivamente sugli interessi dei pochi ricchi cittadini a scapito di tutti gli altri. Questa analisi ancora molto attuale verrà ripresa poi da Gaetano Filangieri un altro famoso giurista e filosofo napoletano. Un altro dato molto importante è che Genovesi fu anche il primo professore a non esprimersi durante le sue lezioni non in latino ma in italiano. Questa novità fu molto importante in quanto finalmente l’italiano, seppur regionale, riuscì a scavalcare il latino anche in ambiti formali come quello delle lezioni universitarie.
La visione dell’economia del Genovesi è in generale decisamente positiva in quanto parte da una convinzione fondamentale: la bontà dell’uomo. Viene ribaltato così il celeberrimo enunciato di Thomas Hobbes “homo homini lupus”. Le parole chiave della nuova economia sono la reciprocità, la socievolezza, la fraternità e il soccorso, dunque la base di tutto è la giusta relazione tra gli uomini ed in particolare le relazioni di mercato sono paragonate alle relazioni umane. Più che un economista Genovesi potrebbe sembrare un filosofo dell’etica che però si intreccia alla pragmaticità della legge del mercato, è questa l’innovazione fondamentale: un’economia sottoposta alla fides!
L’obiettivo primario a questo punto era quello di risollevare l’economia del Sud strappandolo dalla sua arretratezza e proponendo lo sviluppo di un lavoro sociale mirato alla creazione di una produzione sociale. Ciò significava combattere assolutamente il feudalesimo causa principale dello squilibrio delle ricchezze del Mezzogiorno. Lo stato ideale doveva essere una monarchia assolutistica e illuminata e libera da ogni vincolo religioso. L’illuminista Genovesi mirava ad uno Stato laico caratterizzato anche da un’ istruzione laica e democratica tesa a lenire l’alto tasso di analfabetismo del Sud. Citando quanto detto da Giuseppe Maffei “A Napoli va debitrice l’Italia della restaurazione della moderna filosofia razionale, che da quel regno si propagò per tutta la penisola. Il Telesio, il Bruno ed il Campanella aveano cominciato a scuotere il giogo aristotelico; il Vico ed il Genovesi lo levarono dal collo degli Italiani e lo infransero”.