Un francobollo ed uno stemma. Così il treno dell’Italia fascista correva nel 1939, a celebrare il centenario di un illustre passato oramai da tutti dimenticato
La rubrica storica Non lo sapevo, tra i primati del Regno delle Due Sicilie, giunge alla sua nuova tappa, dopo aver approfondito il caso del polo siderurgico di Mongiana e del Real Opificio di Pietrarsa. Di quest’ultimo ripercorreremo i motivi che spinsero i Borbone alla sua realizzazione: la linea ferroviaria Napoli-Portici.
Armand Bayard de la Vingtrie nel 1836 era alla ricerca di un paese che potesse ospitare il suo progetto alquanto ambizioso. La scelta cadde sul Regno delle Due Sicilie, probabilmente per la natura progressista e la nota vena sperimentale dei Borbone. L’ingegnere francese voleva realizzare una linea ferroviaria a proprie spese, ottenendo in cambio però lo sfruttamento della sua stessa opera per 99 anni.
La proposta venne presentata al primo ministro, il marchese Nicola Santangelo, il quale subito ne chiese l’approvazione al re Ferdinando II. Il sovrano firmò la concessione. L’anno seguente a Parigi nacque una società francese gestita dall’ingegnere, dai suoi due fratelli e da un altro ingegnere, Fortunato de Vergès, la quale si poneva l’obiettivo della realizzazione e della gestione dell’opera. Il progetto rientra nel periodo storico in cui l’applicazione del vapore alle macchine e ai sistemi di produzione era ormai in voga in tutta Europa.
Nel giro di quattro anni si sarebbe dovuta formare una strada ferrata che avrebbe collegato Napoli con Nocera, con una diramazione per Castellammare, con la priorità per il tratto fino al Granatello di Portici. Infatti nella cittadina vesuviana era sita la reggia estiva, fatta costruire da Carlo III, capostipite della dinastia dei Borbone di Napoli.
Il progetto presentò una serie di difficoltà tecniche inattese ed è per questo che per completarlo il monarca borbonico si rivolse ad imprese inglesi. I vagoni furono costruiti a Napoli, nello stabilimento della futura officina meccanica di Pietrarsa, a San Giovanni a Teduccio, mentre le locomotive in un primo momento furono acquistate dalla società inglese, la Longridge Starbuck e Co. di Newcastle-Upon Tyne, ma successivamente furono realizzate nella stessa Pietrarsa.
Per la costruzione della stazione di Napoli, punto di partenza e di arrivo della ferrovia, era stata individuata un’area lungo la strada che corrisponde all’odierno Corso Garibaldi e che si trovava oltre il limite della mura aragonesi, a quel tempo ancora esistenti.
Grazie ad un grafico ritrovato fra gli Annali Civili si può ricostruire la struttura della prima stazione. Costituita da due corpi di fabbrica, ognuno dei quali aveva tre ingressi separati ad arco, i quali servivano a separare i clienti per classe. L’edificio, ispirato ad un sobrio linguaggio neoclassico, era alto due piani con tre fornici nella zona centrale della facciata, una lunga balconata comprendeva tre dei cinque balconi del piano superiore.
Alle ore 10 del 3 ottobre del 1839, alla presenza del re Ferdinando II delle Due Sicilie e delle più alte cariche del Regno, vi fu la partenza del primo treno, il quale trasportava 258 passeggeri. La locomotiva sprigionava una potenza di 65 CV ed era in grado di raggiungere la velocità di 50 km/ora. Le persone che viaggiarono accolsero il progetto con grande entusiasmo. Il risultato per quei tempi fu stupefacente: il percorso, lungo circa 7 km, venne compiuto in nove minuti e mezzo, tempi record se si pensa a quelli della Circumvesuviana di oggi.
Salvatore Fergola immortalò l’evento, al quale partecipò anche un folto numero di cittadini esterrefatti. Il dipinto, conservato a San Martino, ritrae anche il grande padiglione eretto presso il Granatello, a Portici, sul ponte della villa del principe di Monteroduni.
“Questo cammino ferrato gioverà senza dubbio al commercio e considerando come tale nuova strada debba riuscire di utilità al mio popolo, assai più godo nel mio pensiero che, terminati i lavori fino a Nocera e Castellammare, io possa vederli tosto proseguiti per Avellino fino al lido del Mare Adriatico“. Queste furono le parole del re, soddisfatto per la realizzazione dell’ambiziosissima idea. Nel 1846 la linea viene allungata fino a San Severino ed Avellino.
Tra i passeggeri più celebri annoveriamo il papa Pio IX, il quale espresse non solo piena soddisfazione ma anche la volontà di replicare l’opera nello stato Papale.
L’evoluzione delle ferrovie nel meridione vide i suoi ultimi giorni grandiosi a causa dell’unità d’Italia. Infatti Garibaldi decise deliberatamente di annullare tutte le convenzioni in atto per stipularne di nuove con la Società Adami e Lemmi di Livorno. Volgeva al termine lo sviluppo industriale del Sud. Era l’anno 1861.
E se l’origine dei problemi del Meridione attuale derivassero, almeno per la maggior parte, proprio dalla disgregazione dell’antico Regno delle Due Sicilie?
Difficile a dirsi, ma la drammatica situazione delle carenze del trasporto ferroviario deriva proprio da scelte nordcentriche che ebbero inizio nel 1861. Infatti in seguito all’unità nazionale il numero di chilometri di strade ferrate aumentarono vertiginosamente al Nord, mentre al Sud crebbe limitatamente, , benchè tutte le concessioni per nuove costruzioni fossero affidate a società con capitale proveniente dal settentrione o estero (Francia ed Inghilterra). Evidente è la disparità delle dimensioni delle infrastrutture di oggi. Nel 2009 i km di ferrovie erano al Centro-Nord 10.895, al Sud, invece, 5.731.
Al di là del dato di fatto che riguarda le dimensioni della rete ferroviaria nazionale, sembra addirittura inutile parlare della diversità dei servizi erogati nelle regioni settentrionali e quelle meridionali. Treni in ritardo e soppressi senza alcun preavviso e senza possibilità di rimborso, scandiscono le già difficili giornate di studenti, pendolari, turisti e viaggiatori di ogni tipo qui al Sud.
Per non parlare dei tanto discussi treni ad alta velocità, meglio noti come TAV. Caso emblematico è la linea Torino-Lione. Non entreremo nel merito in quanto argomento molto complesso, ma sembra bizzarra la volontà dei diversi governi che si sono succeduti nella costruzione della linea ad alta velocità che attraverserà la Val di Susa, a fronte dell’unanime dissenso popolare. Diventa ancor incredibile capire i motivi che spingono la realizzazione di tale opera se si pensa che l’alta veloctà si è fermata a Salerno come Cristo si fermò ad Eboli: Milano-Roma (632 km) in 3 ore VS Taranto-R.Calabria (473 km) in 7 ore.
Non poteva mancare una beffa storica in questo escurus ferroviario. Dove è nata la prima ferrovia, oggi è in funzione la peggiore linea d’Italia: la Circumvesuviana, che dal 2011 al 2013 ha ridotto le corse del 40% a fronte di oltre 100mila utenti al giorno e nelle stazioni sono state chiuse 22 biglietterie.
In conclusione vi proponiamo un interessante servizio del Tg3 Regione Campania.