I fake esistono anche nel calcio, si sa. Presunti contatti con giocatori mai avuti, notizie destabilizzanti per mettere in crisi una società o bufale accordate e ideate a tavolino per deviare l’attenzione dei media, insomma diversivi sotto forma di notizie esistono, nel calcio e non solo.
Ma questo “fake” di cui parleremo, respira, ha delle gambe, una testa e soprattutto tanta, ma tanta furbizia.
Il suo nome è Ali Dia, diventato la lettera scarlatta che ancora oggi imbarazza e ridicolizza la Premier League, la massima serie del campionato inglese, considerata fruitrice del miglior calcio d’Europa e soprattutto sogno nel cassetto di molti giocatori, che agognano almeno un’esperienze in quello che possiamo definire, in pieno diritto, “il paradiso del calcio”.
E se oggi, bisogna dimostrare sul campo di avere le giuste qualità tecniche per arrivare in determinate serie calcistiche, per Ali è bastata un semplice telefonata per vestire la maglia del Southampton riuscendo a guadagnarsi i suoi 53 minuti di gloria giocata.
Ma come è stato possibile tutto ciò? Ripercorriamo l’incredibile vicenda.
Ali Dia nasce in Senegal nel 1965. Si trasferisce e si stabilizza quasi subito in Francia, ma viaggerà tanto l’Europa in cerca di fortuna, che non troverà mai. Il suo approccio al pallone è quello tipico dei ragazzi che amano il calcio, ma senza nulla a pretendere da questo mondo. Gioca nelle serie dilettantistiche e nel panorama calcistico che conta è praticamente uno sconosciuto. Eppure Ali, pur non avendo le basilari e necessarie qualità calcistiche, vuole a tutti i costi giocare in squadre blasonate. E il suo spasmodico desiderio lo porterà a ideare una truffa.
Con la complicità di un compagno di università, Ali-truffatore mette in pratica questo illegale gioco e costringe l’amico complice a chiamare Harry Redknapp, allora manager del West Ham, fingendosi George Weah, ex pallone d’oro, intento a raccomandare il cugino, cioè Ali. La storia non convince il manager, percependo l’assurdità della storia. E non accetta (per fortuna!).
Ma i due truffatori non si arresero e chiamarono Graeme Souness, allenatore del Southampton. La strategia fu sempre la stessa, quella “del cugino da raccomandare” che addirittura aveva vestito in passato la maglia del Paris Saint Germain e militava nella nazionale senegalese, siglando decine di goal.
L’allenatore accetta subito, affascinato da quella storia. E Ali si trasferisce al Southampton con tanto di contratto firmato.
Riesce ad allenarsi solo una volta con la prima squadra e lo staff tecnico comincia a dubitare delle qualità di questo calciatore, che non dimostra sul campo quello che il finto cugino, ex pallone d’oro, aveva così tanto decantato.
Nel 1996 debutta con la maglia numero 33 contro il Leeds, subentrando a Matt Le Tissier. Per Ali sono stati 53 minuti di vergogna, impacciato, limitato e soprattutto…scarsissimo. La partita terminerà con una sonora sconfitta per il Southamtpon e con l’allontanamento immediato di Ali.
Morale della favola? Una grandissima figuraccia per la Premier League, ma la vittoria di un giocatore incapace, che nelle sua mediocrità tecnica, è riuscito a prendere per i fondelli tutti e coronare un suo sogno.
Aveva ragione Machiavelli: “Dove c’è una grande volontà(truffatrice)…non possono esserci grandi difficoltà!”