È ormai una battaglia impari quella combattuta tra chi quotidianamente si impegna a pulire e rilanciare, materialmente ovvero concettualmente, l’immagine di Napoli e del suo popolo e chi, invece, continua a fare di questi ultimi il suo bersaglio preferito, quasi compiacendosene, senza remore né mezzi termini.
Questa volta a essere inciampata nella tanto bazzicata via della delegittimazione della città partenopea è stata Grazia Longo, giornalista de La Stampa e inviata a Napoli. L’intento doveva essere quello di un viaggio nel mondo degli ultras e del tifo estremo, che portasse alla luce aspetti sconosciuti di un’intrigante realtà, fatta di rituali propiziatori alle partite, preparazione e organizzazione delle trasferte oltreché di passione e, soprattutto, fedele dipendenza. A quanto pare, però, lo spirito critico, quasi sicuramente anti-napoletano, della giornalista ha preso il sopravvento sul dover solo esporre i risultati emersi dalla sua indagine.
Infatti, poche ore fa è stato pubblicato un articolo a sua firma, che la dice lunga rispetto all’idea che la Longo può avere del popolo partenopeo, ultras compresi. Dalle sue parole affiora una totale generalizzazione del gruppo ultras napoletano, che la giornalista descrive come fosse esclusivamente formato da parcheggiatori abusivi, commercianti di t-shirt, calzini e di pacchi- truffa, cannabinoidi e incalliti bevitori di birra legati alla camorra.
“Parcheggiatori abusivi, «magghiari» che commerciano in calzini o T-shirt, venditori di «pacchi» tipo gli I-phone a 12 euro che funzionano solo 5 minuti, giusto il tempo che si esaurisca il microchip. Gli ultrà si arrangiano con 700 euro al mese, ma non rinunciano alla birra, alle canne e, soprattutto, al Napoli. Che amano incondizionatamente e sopra ogni cosa. La loro fede, poi, si nutre di odio viscerale verso le altre squadre… Ultrà giovani e meno giovani rollano canne di marijuana e hashish e intanto definiscono come organizzarsi e partire. Birra in bottiglia consumata come fosse acqua minerale e sfottò a un turista di mezza età con una polo rossa con polsini e colletto gialli. Non è una maglia della Roma, è evidente, ma basta l’accostamento giallorosso a scatenare insulti e cori da stadio“.
C’è sicuramente un fondo di verità in questo, ma non tutti gli ultras si riconoscono in tali immagini: il loro è un mondo proteiforme e variegato e, perciò, il fare d’ogni erba un fascio, in questo caso, è stata una pessima scelta.