Sapere di avere il cancro, affrontare e vincere contro la malattia contro cui bisogna lottare in maniera tempestiva e precisa, è una passeggiata rispetto ad essere il centro di un polverone che si è contribuito a creare. Un pensiero assurdo quello di Francesco Acerbi, che non solo paragona un male potenzialmente mortale ad una polemica che si ha avuto il demerito di provocare, ma addirittura ritiene che sia emotivamente meglio sopportabile la seconda che la prima.
Acerbi conosce sicuramente bene cosa significhi avere a che fare con un tumore, ha raccontato lui stesso come abbia avuto modo di confrontarsi con altri uomini e ragazzi nella stessa condizione vissuta da lui. È per questo che le sue parole hanno spiazzato tutti: certamente ognuno vive i momenti della vita a proprio modo, è ben possibile che questa “prova” sia stata più estenuante, eppure la sua uscita è quanto meno inopportuna. Perfino un a mancanza di rispetto a chi preferirebbe lottare sul piano della dialettica, invece che per la vita. Inopportuna come le parole pronunciate in campo all’indirizzo di Juan Jesus, perché qualcosa Acerbi l’ha detta al collega partenopeo, il cui contenuto resta però un mistero.
“Ho avuto più paura adesso, per le minacce dopo il caso Juan Jesus, che quando ho avuto il cancro. Non c’è paragone con la malattia, quella in confronto è stata una passeggiata, non ho avuto paura. Invece l’accanimento atroce che ho visto nei miei confronti in questi giorni mi ha ferito. Ho fatto tanto per togliermi l’etichetta che avevo quando ero più giovane e diventare un esempio di costanza e professionalità e ho rischiato di perdere tutto in un attimo”. Queste le parole del difensore della Nazionale, difeso a spada tratta da Gabriele Gravina, tra etichette del passato che ritornano e scuse in campo fatte non si sa per quale motivo, a questo punto.