Tra procuratori e “brand da tutelare”, declino inarrestabile dell’Italia del pallone: la salvezza è il talento

Gabriele Gravina - Foto: pagina Facebook FIGC


L’eliminazione dell’Italia per mano della Svizzera è stata soltanto una formalità. La nazionale aveva dimostrato tutti i suoi limiti già nella fase a gironi, una mediocrità che era stata suggerita leggendo la lista dei convocati e constatando quanto poco talento ci fosse nella rosa. È giusto puntare il dito contro Luciano Spalletti che delle scelte assurde le ha fatte – da Fagioli alla mancata convocazione di Politano passando per il voler insistere con Di Lorenzo, gli esempi più banali – tuttavia il problema dell’Italia del calcio è lo stesso dell’Italia Paese. Superficialità, presunzione, mancanza di programmazione, l’essere schiavi di logiche di potere ed economiche a discapito del talento.

Il baratro del calcio italiano

Finché l’Italia del pallone dovrà avere a che fare con l’avidità di procuratori, padri e calciatori; finché avrà come obiettivo quello di tutelare i brand di fatto barando e danneggiando chi lavora in modo onesto, specialmente le piccole squadre; finché gli abiti firmati e le fidanzate faranno più views delle giocate e dei gol spettacolari; finché i giovani calciatori saranno scelti tra coloro con il profilo social più performante e non per ciò che sanno fare con i piedi, il calcio in Italia non potrà esprimere più di quanto si è visto in Germania.

L’Italia del pallone riparta dai suoi fuoriclasse

Da qualche mese girano tra gli utenti dei social networks le immagini e le rose delle selezioni italiane dei decenni scorsi. L’effetto nostalgia, anche per chi non è poi vecchio, è assicurato non solo per la memoria dei tempi andati, ma soprattutto nel constatare il tasso di qualità di determinati calciatori. I fuoriclasse c’erano in ogni ruolo: Roberto Baggio, Totti, Pirlo, Del Piero, Cannavaro, Nesta, Maldini, Vieri, giusto per restare nel millennio attuale. Fa effetto soprattutto guardare i panchinari, che poi proprio panchinari non erano, tra Pippo Inzaghi, Montella, Delvecchio, Di Vaio, Hubner.

Fare un confronto con i ragazzi attualmente in rosa, per i giocatori stessi, sarebbe profondamente ingiusto. Eppure i vertici della Lega Calcio devono prenderne atto per dare una scossa al sistema ed il primo passo, perché no, potrebbe essere quello di dare le dimissioni e lasciar spazio a chi se ne intende di calcio, di spogliatoio, di classe, di tecnica. Magari proprio qualcuno tra i fuoriclasse citati sopra, che avrebbe meno interessi a tutelare brand e poltrone.


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