Alla ricerca del talento perduto, capitolo “Daniele Verde”. Gli scugnizzi parlano napoletano, lui no. Lui parla coi piedi, specie col sinistro. D’altronde se sei alto 1,68 m non puoi mica alzare la voce per dire “Vai e mettila dentro”, tu alzi la palla; anzi, siccome giochi con Totti, fai la scucchiaiata, poi chi vuole capire capisce. Ljajic ha capito. Paredes, idem.
Alla fine di Cagliari-Roma finisce che lo vogliono capire tutti, così lo intervistano e lì hai voglia di usare il sinistro, le origini non può dribblarle nessuno, l’accento si tradisce da solo: Daniele Verde è napoletano!
Nato il 20 giugno 1996, lo sarà fino alla tenera età di 14 anni. Un’infanzia passata a prendere a calci il proprio futuro, prima con la maglia del San Domenico, poi con quella del Pigna Calcio. Finché un giorno non arriva nientemeno che Bruno Conti e lo strappa a quella distesa di mare e illusioni che solo Napoli sa regalare per dargli una vera opportunità. Il campione del mondo ’82 nella sua fulgida carriera ne ha messi a sedere parecchi, ma nessuno è mai stato costretto a dare le dimissioni o a subire un licenziamento in tronco. Quella volta sì. Il tiro mancino – per restare in tema di sinistri – più riuscito della sua vita Bruno Conti lo piazza – penna e contratto da firmare alla mano – ai danni della Juventus, la quale adirata col proprio talent scout per la Campania per essersi fatto sfuggire da sotto il naso quella giovane promessa, lo licenzia di punto in bianco.
Al piccolo Daniele si aprono, invece, le porte di Trigoria, dove ad attenderlo c’è un certo Vincenzo Montella, napoletano come lui e fresco allenatore dei “giovanissimi” lupacchiotti giallorossi. L’incontro con l’aeroplanino sarà fondamentale per spiccare il volo verso il grande calcio. Già, perché è proprio l’ex bomber a dirottarlo dal ruolo di terzino a quello di esterno offensivo. Verde da quel giorno comincia, così, a fare gol e assist. Ma non è tutto rosa e fiori, perché l’anno scorso trova poco spazio nella Primavera di De Rossi, colpa di un fisico a volte troppo esile per il calcio odierno. Niente paura, però, perché dopo aver rischiato addirittura di essere mandato via durante il ritiro estivo, il ragazzino ha preso le misure e in 8 partite disputate coi suoi coetanei fa centro 9 volte.
Dal centro “Bernardini” a Coverciano il passo è breve, ma Daniele è uno che corre e pure veloce, così dopo essere entrato nel giro dell’Under 19, arriva finalmente il giorno che attendeva da quando Conti se l’era portato via da Napoli. Diciassette gennaio 2015, la prima volta non si scorda mai: è alla “Favorita” di Palermo, ma dura troppo poco. Una manciata di minuti per far respirare uno stremato Iturbe. Meglio la seconda, allora (tralasciando le presenze in Coppa Italia). La Roma viene da quattro pareggi consecutivi, la Juve – ancora lei – scappa, e Garcia per andarla a prendere schiera dal primo minuto un classe ’96. Una mossa incomprensibile, finché non comincia a capirla Ljajic e poi Paredes. Alla fine la capiscono tutti.
Così, mentre la Napoli del calcio si domanda il perché di un altro talento perduto troppo presto e la Juve forse continua a maledire il suo ex talent scout, Totti ora ha un motivo in più per sognare ancora lo Scudetto.