Atenei di serie A e serie B? Il Governo, forse, ci ripensa…

Negli ultimi giorni non si parla d’altro: l’attenzione generale è totalmente focalizzata sulle ultime disposizioni del Governo italiano in materia universitaria e scolastica. Vengono proposti continuamente emendamenti, provvedimenti, ddl e quant’altro che non fanno altro che mettere i bastoni tra le ruote agli aspiranti insegnanti, incrementando non solo le discriminazioni tra i vari atenei del Bel Paese, da Nord a Sud ma penalizzando gli studenti stessi, che con grossa fatica e sacrificio, cercano di portare avanti il loro incerto percorso universitario. Tutto ciò alimenta sempre più la “nuova condizione del secolo”: il precariato lavorativo ed esistenziale.

L’ultima news che ha suscitato letteralmente scalpore è quella della suddivisione degli atenei italiani in categorie: ci sarebbero quelli di serie A e quelli di serie B. Esempio pratico: a parità di voto, nei concorsi pubblici, si preferisce un candidato che si è laureato presso un’università considerata più prestigiosa. Il Sud, com’è ormai risaputo, viene penalizzato al massimo. Insomma, viene conferito un assurdo valore al nome, alla forma e non alla sostanza: crolla non solo il concetto di meritocrazia ma di gran lunga vengono meno i concetti base: non è l’abito che fa il monaco. Poco ma sicuro. Non è un voto, un numero o un nome che stabiliscono la preparazione di uno studente.

Sembra però che il governo abbia deciso di fare passo indietro: come riportato dal Quotidiano.net, il ministro della Pubblica Amminstrazione, Marianna Madia, ha dichiarato “C’è la massima apertura a fare modifiche, in modo condiviso, o anche a cancellare” l’emendamento al ddl P.A. secondo cui nei concorsi pubblici si terrà conto non soltanto del voto di laurea ma anche dell’ateneo di provenienza”.

Insomma si deciderà se apportare delle modifiche o se cancellare del tutto l’emendamento, che sarebbe la scelta migliore, eliminando così ogni discriminazione e confusione tra gli studenti. Si attendono notizie da parte della commissione Cultura della Camera.

Uno spiraglio di luce in uno scenario così assurdo?