L‘incendio scoppiato improvvisamente alle pendici del Vesuvio continua, da giorni, a divampare ed è persino arrivato a minacciare le abitazioni situate più in alto e più a contatto con le pinete. Oltre al possibile rischio per gli abitanti si tirano già le somme delle perdite ambientali dal momento che il fuoco ha già divorato 10 ettari di macchia mediterranea creando un vuoto di vegetazione ben visibile anche da lontano. Viene da chiedersi cosa possa aver scatenato un rogo così vasto che sembra troppo irrefrenabile per essere casuale.
Ne ha parlato Umberto Saetta, guida esclusiva del Parco Nazionale del Vesuvio e massimo conoscitore della zona, che si è dichiarato sicuro che “Chi ha appiccato il rogo sul Vesuvio, l’ha fatto in maniera scientifica. Ed ora, per far ritornare tutto com’era, ci vorranno almeno vent’anni di sudore e fatica”. Un’ipotesi di incendio doloso che Saetta ribadisce preoccupato, ma certo: “Non ho ragione di pensarla diversamente. Era una giornata ventosa, ma cosa più grave, chi ha appiccato il rogo, sapeva che la scorsa domenica è terminato il servizio di avvistamento incendi, l’organo regionale preposto all’avvistamento dei roghi volto alla difesa del territorio. Hanno appiccato il fuoco sapendo che non c’era possibilità di un intervento immediato. Del resto – continua – è il secondo incendio nell’arco di un mese, c’è qualcosa che non va “.
Convinzioni che nascono dall’esperienza professionale della guida, che da 25 anni lavora sul Vesuvio e si è già confrontato col periodo più buio, per quanto concerne gli incendi della zona, fra il ’95 e il ’96: “Ho lavorato per giorni e per notti in quegli anni per difendere il Vesuvio, ma fatico a ricordare incendi più scientifici di questo. Credo che possa essere anche una ritorsione per l’opera di repressione che sta mettendo in campo la Forestale. Ma chi ha fatto questo, non ha amore per nessuno, tanto meno per il prossimo”.
Indipendentemente dalla colpa, il danno alla biodiversità della zona è irreparabile e di un valore incalcolabile: “Non c’è un valore intrinseco da quantificare. – dichiara Saetta – Abbiamo dovuto ricorrere ai Canadair e agli elicotteri, per anni ora dovremo fare a meno di entrare nella riserva Tirone, vero scrigno della biodiversità. Le piante, sì, ricresceranno, ma difficilmente tornerà tutto come prima. Occorreranno almeno 20 anni di lavoro, durante i quali bisognerà aiutare la natura a ritornare al suo passato. E forse nemmeno basteranno”.