San Giorgio a Cremano. Prima città a dedicare una strada ai martiri di Pietrarsa
Set 24, 2015 - Domenico Ascione
La strage operaia di Pietrarsa, nello stabilimento voluto dai Borbone, fu il primo simbolo delle rivolte operaie in italia. Fu, però anche il simbolo di un’Unità d’Italia fragile, basata sulla violenza e sull’occupazione, e di un Sud che non era pronto, o semplicemente non voleva essere Italia. Motivo che ha causato la cancellazione dell’avvenimento dai libri di storia più comuni, la damnatio memoriae di una pagina nera della storia del nostro popolo e di una vergogna per la giovane nazione.
Tuttavia, grazie a una recente presa di coscienza dei meridionali nei confronti del loro florido passato e l’idea di rivisitazione storica che sta circolando sempre con più vigore fra gli storici italiani, anche i martiri di Pietrarsa stanno riemergendo alla memoria. Già qualche anno fa si parlava di dedicare alle vittime della strage una strada di Napoli, ma il comune di San Giorgio a Cremano ha battuto tutti sul tempo con l‘approvazione di una delibera nel 2014. La notizia e le dichiarazioni del sindaco a riguardo sono riportati da “Lo Strillone”.
Oggi è arrivato il nulla osta della Prefettura per cambiare il nome della centrale “via Ferrovia” in “via Martiri di Pietrarsa”. “Abbiamo voluto ricordare in questo modo, deferente, ma concreto, – spiega il sindaco Giorgio Zinno – i quattro operai uccisi durante uno sciopero il 6 agosto 1863, poco dopo l’Unità d’Italia, a poche decine di metri da San Giorgio a Cremano, nell’opificio di Pietrarsa. Fare memoria del passato per costruire un futuro migliore per noi è fondamentale, per questo vogliamo tramandare alle nuove generazioni nomi oggi praticamente sconosciuti: Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Domenico Del Grosso, Aniello Olivieri, sui quali venne dato all’esercito ordine di sparare su richiesta del proprietario della fabbrica. Il diritto al lavoro, la libertà, la dignità personale: valori che venivano difesi da quegli operai e che noi vogliamo continuare a difendere anche centocinquant’anni dopo.”