Il termine seccia, è una derivazione espressamente napoletana della parola seppia, data dalla tendenza a trasformare in dialetto la “p” in “c“. La parola seccia, si sa, non promette nulla di buono e denota: sventura, negatività, cattivo presagio, proprio perché metaforicamente, lo iettatore è paragonabile al nero del “malaugurio” spruzzato da questo mollusco. Non è infrequente pronunciare espressioni quali “Puorte seccia!” od ancora “Nun fà ‘a seccia!”, e ricorrere ai dovuti rimedi contro l’aura negativa ed il malocchio che si abbatte su di noi. Ma per combattere il “nemico”, intanto bisogna individuarlo, captare quei piccoli segni di riconoscimento, insomma tracciare il profilo dell’altrimenti detto “faccia ‘e pesta”.
Secondo l’immaginario comune, lo iettatore è palese al primo sguardo: solitario, pallido e ricurvo, con gli occhi leggermente sporgenti celati dietro occhiali rigorosamente neri, abiti scuri, capace di trasferire il suo influsso negativo già dal primo contatto con la vittima. Ma i Napoletani, popolo che ha nel sangue l’istinto di sopravvivenza e l’astuzia, ne hanno brevettati di “antidoti” contro l’inevitabile anatema, dai più ai meno fantasiosi, che potremmo suddividere in due categorie, “riti” ed “amuleti”, veri e propri strumenti anti seccia.
Tra i primi come non annoverare la famosa combo prezzemolo-finocchio, il pizzico di sale lanciato dietro la spalla (rigorosamente la sinistra poiché in corrispondenza del cuore), il tocco del ferro al passaggio del portatore di sventura, od ancora le abbuffate a base di pesce, i cui resti e viscere erano un tempo cosparsi sull’uscio della porta per allontanare lo spirito maligno. Alla seconda classe appartengono gli strumenti tipici contro la seccia: ‘o cuorno posto rigorosamente in tasca da toccare all’occorrenza, ‘o scartellato (un tempo costituiva enorme fortuna sfiorare con la mano la gobba), ‘a cianfa ‘e cavallo ed il numero 13, diversamente dalla cultura americana in cui assume la stessa valenza del numero 17 per noi. Insomma, che si creda o meno alla capacità di particolari individui di poter emanare energie negative, noi Napoletani (e non solo noi), ci affidiamo alla filosofia de “Non è vero ma ci credo”.
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