“Siamo stati abbandonati da tutti”. Lo dice alle telecamera di Fanpage uno dei 300 operai che, negli anni ’80, ad Avellino, ha provveduto all’eliminazione dell’ amianto presente in alcune carrozze dei treni delle ferrovie dello Stato.
3.000 carrozze portate agli uomini, allora giovanissimi, di Avellino, i quali, senza nessuna protezione grattavano le pareti laterali e il tetto dei treni per portar via l’amianto, sostanza pericolosissima per l’organismo umano.
Le polveri d’amianto si alzavano e i ragazzi si ammalavano. Le polveri d’amianto volavano nell’aria, indomabili e a pochi passi un asilo per bambini. Solo una fibra d’amianto può intossicare il corpo, fino a comprometterlo in patologie respiratorie che portano, lentamente, alla morte.
Il 90% dei 300 uomini di Avellino presentano gravissime malattie respiratorie, le quali, ricordano loro, quasi come un sussurro costante, che il tempo di vivere si può interrompere all’improvviso.
Sono stati abbandonati da tutti, all’epoca. Sindacato, istituzioni, imprenditori, politici. Un avvelenamento silenzioso che è diventato, negli anni, una mattanza. E non solo di operai. Ma di un’intera generazione, poichè, l’amianto estrapolato veniva cementificato e sepolto in grosse fossi adiacenti all’impresa. Ma certi morti ritornano, trapelano lentamente per continuare a infierire colpi. Così fa l’amianto. Non muore. A morire, i posteri di terre contaminate, distrutte dalla cattiva politica e la completa assenza della coscienza imprenditoriale, paragonabile, moralmente, alla criminalità organizzata. Soldi contro vite. Veleni contro bambini. Incoscienza contro salvezza.
Gli operai, all’epoca, preso coscienza, grazie ad un articolo giornalistico della gravosità della respirazione circa le polveri di amianto, si ribellarono e chiesero un controllo ambientale. Ma il controllo non ci fu: gli specialisti si rifiutarono di entrare in un luogo così dannoso. Attualmente si è aperto un fascicolo in merito presso gli organi di competenza.
I racconti di questi uomini lasciano un amaro nello stomaco, sintomatico di rabbia e di disprezzo, verso chi, su questo pianeta non si è reso ancora conto che la ricchezza ai danni della vita, è la condanna personale all’inferno. Non quello religioso. Non quello che verrà. Ma quello reale e presente che ti brucia l’animo.