La pasta alla “Genovese” è uno dei piatti più simbolici della nostra tradizione culinaria, l’unica ricetta che la domenica potrebbe sostituire il ragù senza deludere nessuno. Le controindicazioni di una prelibatezza basata quasi esclusivamente sulla cipolla, però, sono parecchie. Non volendo essere pignoli sulla scarsissima digeribilità o schizzinosi sugli effetti che l’alimento provoca al fiato dei commensali, resta comunque il fatto che quando in una casa si cucina la “Genovese”, ne paga le conseguenze tutto il vicinato. L’odore pregnante della cipolla, lasciata a cuocere per ore in pentola, si diffonde rapidamente per tutta la casa, invade tende, vestiti e divani per poi riversarsi in strada per la “gioia” dei passanti.
In realtà c’è una soluzione a quella che potrebbe sembrare un’inevitabile e necessaria conseguenza. Un’usanza conosciuta da tutte le “nonne” di Napoli è in grado di limitare la diffusione della puzza di cipolla: basterebbe immergerle in acqua ed aceto prima di procedere alla cottura. Come spesso avviene per ciò che viene tramandato senza spiegazione dai nostri anziani, il motivo di una simile procedura ha basi scientifiche serie. Si tratta, infatti, di una reazione chimica che prende il nome dal suo scopritore, Maillard, ed, in parole povere, si preoccupa di come ridurre o alterare l’acidità di alcuni alimenti.
L’effetto scatenante della famosa “puzza di cipolla” è proprio la sua eccessiva acidità. Maillard ha dimostrato che l’aceto, durante la cottura della cipolla, ne riduce drasticamente il PH e, quindi, annulla l’acidità. Oltre ad una riduzione drastica della puzza, le cipolle così trattate manterranno un colorito biancastro anche dopo la cottura. Inoltre la “cipolla di Maillard” non induce nemmeno alle classiche lacrime se tagliata.