Nel mese di Novembre 2013 aveva fatto parecchio discutere, e arrabbiare il sindaco Luigi de Magistris, la copertina de l’Espresso che recitava “Bevi Napoli e poi muori”. In quell’occasione il primo cittadino di Napoli annunciò la querela, sottolineando come l’acqua in distribuzione nelle case partenopee fosse controllata ben cinque volte al giorno, l’acqua più controllata d’Italia. L’allarme si dimostrò senza giustificazione.
Poco più di due anni dopo arriva un’altra copertina che fa discutere: “Sparanapoli: «In città ora comandiamo noi»”, con tre ragazzi incappucciati, pistola in mano, sul tetto di un’abitazione del centro storico, Duomo alle spalle. Il reportage de l’Espresso sarebbe stato condotto intervistando un ragazzo che ha fatto parte della cosiddetta “paranza dei bambini”, raccontando come nel centro storico oggi siano loro a farla da padrona, facendo girare un flusso di denaro ragguardevole seppur ben lontano dagli affari milionari di altri clan, come quello di Secondigliano.
Le foto e i video che corredano l’anteprima del servizio appaiono subito artefatti, frutto di semplici ricostruzioni che non hanno, perciò, alcun valore giornalistico né di denuncia. È lo stile di Gomorra che emerge, il quale può essere artisticamente interessante, ma assolutamente inutile se dobbiamo parlare di fatti reali: reportage e teatro si fondono, a farne le spese è il lettore, portato a non poter più distinguere tra verità e finzione.