Quando ci si riferisce alle persone che, generalmente, occupano questo i campi nomadi, situati spesso nel cuore delle nostre città, si parla di Rom. Tuttavia si tratta di una generalizzazione erronea, che pone sotto la stessa categoria decine di etnie diverse. E non solo; molti sono i luoghi comuni che appartengono all’immaginario collettivo circa queste popolazioni e il loro presunto nomadismo. Ecco degli esempi.
“In Italia c’è un’ Emergenza rom”:
In Italia vivono circa 170-180 mila rom, ossia lo 0,2% della popolazione totale. L’Italia è uno dei paesi europei con minor numero di rom; infatti lo Stato di Emergenza Nomadi del 2008, indetto dall’allora governo Berlusconi è stato dichiarato illegittimo nel 2013 dalla Corte di Cassazione poiché non vi sono i numeri per dichiarare un’emergenza.
“I Rom vivono nei campi e vogliono restarci”:
Non tutti sanno che i 4/5 dei cittadini chiamati rom vivono socialmente inclusi, ossia in una casa, con un lavoro regolare e i bambini frequentano normalmente la scuola. Solo 1 rom su 5 vive nei campi, creati dalle istituzioni prettamente per queste etnie, le quali, se potessero, ne uscirebbero volentieri.
“I rom rubano i bambini”:
Nel 2008, la ricerca «La zingara rapitrice», a cura di Sabrina Tosi Cambini, commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università degli Studi di Verona, ha smontato, dati alla mano, lo stereotipo del «rom ladro di bambini».
La ricerca ha analizzato circa 30 notizie Ansa, tra il 1985 e il 2007, che facevano riferimento a presunti rapimenti di minori da parte di rom. La ricerca ha verificato se i fatti avessero avuto un prosieguo in termini penali. La conclusione è che in nessuno dei casi si era trattato di rapimento di minore ad opera di rom o sinti.
“I rom non sono italiani”
Almeno la metà dei rom in Italia, sono cittadini italiani. Pertanto le comuni frasi del tipo “mandiamoli a casa loro” (figlie di manipolazioni politiche) sono prive di senso e fondamenta.
Chiamiamo tutti “rom”, ma sbagliamo…
In effetti, la definizione di Rom è molto generica e poco veritiera: sono numerosissime le etnie che categorizziamo sotto questa nomenclatura, ognuna di essi con una cultura propria, tradizioni e storie differenti dalle altre. Rom in rumeno significa “essere umano” e definisce le popolazioni nomadi che si stanziarono in Romania.
Rom, sinti, kalè, caminanti, manush, romanicel : sono solo alcune delle etnie che noi identifichiamo con la parola Rom (Zingari in modo dispregiativo), mentre si tratta di culture,a volte, molto differenti. Ma come esistono luoghi comuni relativi ai napoletani, dipinti tra una pizza, un mandolino e un avviso di garanzia, esistono generalizzazioni e luoghi comuni per i Rom.
“I rom sono nomadi per indole”
Una delle cose che ascoltiamo e ripetiamo è che essi tendono per indole e tradizione al nomadismo e non vogliono rinunciarci. Cioè a loro piace vivere accampati:
“I Rom e i Sinti sono stati costretti alla migrazione, costretti al viaggio, costretti a lasciare le proprie terre, e molte sono state le espulsioni forzate” dichiara in un’intervista Eva Rizzin, cittadina italiana, sinta, laureata in geopolitica all’Università di Trieste.
“Più che di nomadismo sarebbe più opportuno parlare di migrazione forzata. Discriminazioni, persecuzioni, sgomberi, hanno costretto molte comunità a spostarsi continuamente, oppure a vivere in baracche, roulottes e campi nomadi.”
Quanto costano al Governo i Campi Nomadi?
Molto. Tra il 2005 e il 2011 si sono spesi più di 100 milioni di euro per il mantenimento dei Campi nomadi, nelle città di Milano, Roma e Napoli. Solo nel 2013 a Roma si sono spesi circa 24 milioni di euro, secondo il rapporto dell’associazione 21 luglio. Ma come sono stati spesi? le voci nella lista della spesa sono diverse, quali gestione dei campi, sorveglianza, scolarizzazione dei minori, percorsi di inclusione sociale, etc. Questo significa che il danaro è direzionato, principalmente agli enti che operano all’interno dei Campi: nel caso di Roma, 35 enti tra pubblici e privati. Ma non solo a Roma. Anche nel capoluogo partenopeo sono le aziende del terzo settore che gestiscono i campi e a cui va gran parte dei soldi statali. Solo lo 0,4% del totale è destinato all’inclusione sociale.
Pertanto, la “politica del campo” beneficia, a quanto pare, soprattutto chi lavora attorno all’integrazione, se così si può chiamare; in effetti, l’Italia è l’unico paese d’Europa in cui vengono allestiti, legalmente, campi nomadi destinati ai Rom. La politica dei campi è superata nel resto dei paesi comunitari, poiché causa di emarginazione sociale. L’associazione 21 luglio, infatti, ha presentato più volte al governo la proposta di far rientrare tali cittadini nell’emergenza abitativa, cosi come gli altri cittadini indigenti del paese, con l’assegnazione di case popolari.
La verità è che è più semplice odiare chi non conosci. Siamo cresciuti in un sistema che etichetta etnie e modi di fare prima di farne conoscenza. Gli interessi politici e la ricerca di capri espiatori da parte delle istituzioni, manipolano la nostra forma mentis, abituandola all’odio, ben direzionato. O al semplice disprezzo, il quale genera molti malesseri della società.
Senza dubbio, anche dal lato opposto, non bisogna generalizzare: l’inciviltà è soggettiva, come il degenero nella illegalità. Ed è nelle grandi città soprattutto che decide di stanziarsi chi è intenzionato a delinquere (la dispersione crea caos), per cui le probabilità di incontrare malfattori crescono; ma succede, indistintamente, per ogni genere di etnica, età e scala sociale.
FONTI: Sergio Montempelli, ricercatore e autore sui temi dell’immigrazione e i diritti dei migranti; Comunità di Sant’Egidio; Associazione 21 luglio (report presentato in Senato, dati istituzionali); lettera43.