Bud Spencer, De Crescenzo: “Te putimmo chiammà papà? Lui rispose così”
Lug 02, 2016 - Michele Di Matteo
Bud Spencer e Luciano De Crescenzo
Carlo e Luciano, Luciano e Carlo. Com’è piccolo il mondo, com’è piccola Napoli. Un solo palazzo, due bambini che, una volta divenuti adulti, avrebbero esportato la napoletanità in giro per l’Italia e all’estero, ognuno a suo modo, certo. Nuotatore e attore il primo, scrittore il secondo. Negli anni non sarebbe cambiata la loro amicizia, in fondo nemmeno la loro umanità. L’unica variazione sarebbe stata il nome del più alto e grosso tra i due: Bud invece di Carlo, per motivi legati alla carriera cinematografica. Lo ricorda così Luciano De Crescenzo il suo vecchio amico Carlo Pedersoli o Bud Spencer, che dir si voglia. Non in una nota commossa post mortem, ma in un libro scritto nel 2009.
S’intitola “Il caffè sospeso. Saggezza quotidiana in piccoli sorsi” ed è stato edito dalla casa editrice Mondadori ormai sette anni fa. Le sue pagine, alcune almeno, sono però tornate a vibrare negli ultimi giorni, dopo la recentissima scomparsa del primatista mondiale del nuoto italiano.
Così, infatti, l’autore di “Così parlò Bellavista” parla della sua amicizia con Bud Spencer, nata sin dalla tenera età, visto che risiedevano nello stesso edificio: “Io nacqui al terzo piano di un palazzo con vista sul mare. Al primo piano del medesimo palazzo nacque invece il mio amico Carlo Pedersoli. Carlo era gigantesco. A tredici anni mi superava di almeno venti centimetri. Con lui accanto nessuno mi poteva toccare. Fummo compagni di scuola alle elementari e alle medie, poi la vita ci divise: io divenni ingegnere, e in seguito scrittore; lui, invece, prima campione di nuoto e poi attore. Oggi si chiama Bud Spencer”.
Di vista però non si sono persi mai davvero (d’altronde con uno grosso come il suo ex vicino di casa sarebbe difficile, verrebbe da scherzare), così dai ricordi d’infanzia la pagina scivola veloce sino ad un incontro avvenuto poco prima della stesura del libro: “Un paio di mesi fa ho incontrato Carlo all’hotel Vesuvio e gli ho proposto di andare a rivedere insieme il palazzo dove eravamo nati. Sennonché, per strada, siamo stati fermati da due scugnizzi del Pallonetto.
“Bud Spensèr, quanto sì bello!” disse uno dei due mettendo, come di regola a Napoli, l’accento sulla seconda “e” del cognome Spencer.
“Comme ce piacesse avè ‘nu pate comme a Bud Spencèr!”
E l’altro: “Te putimmo chiamà “papà”?”
Qui Carlo, che tutto è tranne quell’energumeno picchiatore che siamo abituati a vedere nei film, nel sentire due ragazzini che lo volevano chiamare “papà” stava lì lì per commuoversi quando il primo dei due gli disse: “Noi siamo orfani: nunn’o tenimmo o papà!”
Lacrime negli occhi di Carlo Pedersoli e cinquanta euro a testa ai due scugnizzi che forse tutto erano tranne che orfani“.
Noi, invece, ora di uno strenuo difensore di Napoli e della napoletanità – come più volte dimostrato – orfani lo siamo per davvero.