Dal Bangladesh a Franceschiello, l’Italia piange per la Nazionale e non per i morti
Lug 04, 2016 - Salvatore Russo
L’Italia sabato si è fermata per assistere alla partita della Nazionale, sconfitta ai rigori dai campioni del mondo della Germania. Non c’era traffico, pizzerie e locali affollati con gli occhi dei clienti incollati alle tv. Nelle case risuonava qualche trombetta fino all’amara eliminazione.
La nazione non si è fermata, invece, per le vittime italiane colpite dalla violenza di Dacca in Bangladesh. I telegiornali hanno dedicato uno spazio minimo, tempi ridottissimi rispetto ai precedenti di Parigi e alla strage di Istanbul. Sui social non si sono visti i vessilli del Bangladesh. I morti non sembrano essere tutti uguali.
Non si è pianto, qualcuno invece ha versato qualche lacrima e si è commosso per la sconfitta della Nazionale italiana. Buffon al termine della partita ha detto testualmente: “Sembravano l’esercito di Franceschiello, torniamo come una corazzata temuta”.
Il riferimento è relativo ad un falso storico. I recenti approfondimenti storiografici hanno appurato quanto l’esercito di Ferdinando II di Borbone abbia combattuto in maniera eroica. Il portiere della Juventus, così come tanti italiani, è legato ancora ad una storia che narra del salvatore Garibaldi e di una unità d’Italia distorta dai libri di scuola. Non fu unità, ma conquista, colonizzazione delle terre meridionali.
Nelle parole di Buffon, nei comportamenti dei media nell’affrontare la questione Dacca, nel tempo riservato agli Europei e nella poca sensibilità degli internauti italiani, si legge una insensibilità di fondo rispetto ai grandi temi della nostra epoca.
L’Italia appare un territorio unito solamente sulla cartina geografica: siamo italiani quando c’è il grande appuntamento della Nazionale di calcio, ma dimentichiamo di esserlo quando si insultano i napoletani e/o i meridionali sugli stadi o quando si è vittima di discriminazione territoriale. Pregiudizi che esistono da tempo, mai realmente soppressi.
“Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani“, così Massimo D’Azeglio, politico e scrittore all’indomani dell’Unità d’Italia. Ancora oggi questa riflessione rimane attualissima.