Sono state segnate dal dolore queste ultime ore, quelle trascorse dal momento del tragico incidente ferroviario avvenuto tra Andria e Corato a causa di quello che oggi viene definito un “errore umano“.
Sono due le principali ipotesi in merito alla reale dinamica dell’incidente prese in esame dalla Procura di Trani che, sin da subito, ha aperto un’inchiesta, ipotizzando i reati di omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario. Infatti, oltre alla teoria di un guasto, che avrebbe impedito il corretto scambio di informazioni tra la stazione ferroviaria e il macchinista, una delle ipotesi maggiormente accreditate vedrebbe l’incidente proprio come il risultato di un errore umano.
Sale, intanto, a 27 morti e 50 feriti il bilancio delle vittime e l’Italia intera, sconvolta e indignata, aspetta di conoscere il vero responsabile di tale tragedia. Quando qualcosa di così terribile accade, l’opinione pubblica necessita di un nome, di un capro espiatorio, di qualcuno su cui far ricadere le colpe. E’ un modo per sentirsi al sicuro, come se punito il colpevole svanisse ogni rischio che una tale tragedia possa ripetersi.
Eppure, sorge un dubbio. Se a seguito delle indagini dovesse essere accertato l’errore umano, al di là delle ripercussioni penali che inevitabilmente e giustamente ricadrebbero sul colpevole, quanto potrebbe davvero essere imputato alla responsabilità di un singolo uomo?
L’uomo, per sua natura, è una creatura fallibile ed è proprio sulla base di tale accertata consapevolezza che, da sempre, si cerca di porre rimedio ai limiti umani grazie alla tecnologia e a sistemi meccanizzati capaci di contrastare l’errore umano. Tuttavia, analizzando il contesto in cui è avvenuto lo scontro ferroviario tra Andria e Corato, appare evidente la totale assenza di sistemi automatici capaci di arginare i rischi, già elevati, derivanti dalla pericolosità di un binario unico.
Giorgio Ferrari, ricercatore del CNR, spiega che “su quella tratta non esiste un sistema automatico di segnalazione. Viene usato il cosiddetto ‘blocco telefonico’ che si sostanzia nella comunicazione telefonica del via libera sul binario unico”. Sulla base di tale metodo, dunque, il via libera viene stabilito attraverso una serie di comunicazioni telefoniche tra gli operatori delle diverse stazioni ferroviarie. Un sistema antico usato nell’Ottocento.
In caso di errore umano, dunque, nessun blocco elettrico, nessun sensore e nessun sistema di monitoraggio di velocità e distanza tra i vari convogli ferroviari interverrebbero, come accaduto, ad evitare una strage di innocenti.
La linea ferroviaria interessata dall’incidente è lunga 70 chilometri e da Bari a Ruvo, per trentatré chilometri, è a doppio binario. Tuttavia, l’incidente si è verificato tra Corato e Andria, ovvero in un tratto compreso nei restanti trentasette chilometri a binario unico.
Come riportato da Next Quotidiano, “L’ampliamento della linea è stato previsto nel 2008, come parte di un grande progetto reso possibile dallo stanziamento dei fondi europei. I ritardi accumulati sono però stati tali da dilatare i tempi fino ad oggi” infatti “nonostante il collaudo dell’intero progetto fosse inizialmente previsto entro il 2015, i lavori, realizzati per lotti, sono ancora in corso. Gli ultimi espropri dei terreni intorno alla tratta da raddoppiare sono stati disposti nel 2014 e per i ritardi accumulati, spiegano dalla società, si sono dovuti attendere gli stanziamenti e la distribuzione dei fondi europei dei programmi successivi. Tanto da arrivare proprio a questi ultimi giorni anche per la sola gara di appalto. Il 16 giugno scorso Ferrotramviaria ha infatti comunicato una proroga dal primo al 19 luglio per la scadenza delle domande di partecipazione alla gara, proprio per il raddoppio della Corato-Andria”.
Tuttavia, già dalle primissime ore successive all’incidente numerose accuse sono state lanciate, attraverso il web, all’attuale Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio. Il Ministro ha infatti dichiarato che nove miliardi di euro, stanziati dal Governo Renzi, sono stati destinati all’intera rete nazionale. Di questi, 4 e mezzo sarebbero stati impiegati per tecnologie di sicurezza e per le reti a carattere regionale. Si tratta tuttavia di dati generici, riferiti all’investimento nazionale, che omettono di specificare che degli 8.971 milioni di euro stanziati dal governo Renzi solo 474 milioni sarebbero stati destinati alle reti ferroviarie del Sud Italia. Dall’analisi degli investimenti, infatti, emerge una netta disparità tra gli interventi finanziati nel Settentrione e quelli da Roma in giù.
Alla luce di tali informazioni, dunque, viene spontaneo chiedersi se tale tragedia non potesse davvero essere evitata.