Il tragico sisma che ha colpito le popolazioni dell’Italia centrale lo scorso 24 agosto ha sconvolto tutti. Ma gli italiani hanno una forte corazza, subito dopo la scossa si sono dati da fare per soccorrere, scavare tra le macerie e mettere in moto una gara di solidarietà per mandare agli sfollati tutto il necessario per vivere.
Ma dopo la tragedia e il lutto, ora si deve pensare alla ricostruzione e soprattutto alla messa in sicurezza delle città italiane. Prima di Amatrice, c’è stata l’Emilia e prima ancora l’Aquila e andando a ritroso nel tempo molte sono state le tragedie, troppe.
Gli esperti da anni sostengono l’importanza e l’urgenza della prevenzione, di piani adeguati al territorio italiano particolarmente soggetto ad attività sismica e vulcanica, nonché al rischio idrogeologico. Come ha dichiarato al quotidiano La Nazione il Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, Francesco Peduto, si deve necessariamente mettere in sicurezza il territorio altrimenti ci saranno altri morti.
Secondo l’esperto ci saranno altri terremoti come quelli già accaduti, perché l’Appennino si sta estendendo verso ovest e verso est e quindi questi movimenti generano terremoti superficiali che sono “molto più pericolosi di quelli che avvengono in profondità perché conservano intatta la propria potenza“.
“La faglia che ha originato le prime scosse ad Amatrice – ha dichiarato Peduto – e le successive repliche è classificata come ‘attiva e capace’. Cioè la più pericolosa“. L’unica soluzione, secondo l’esperto, sarebbe quella di investire miliardi di euro in prevenzione e non solo nelle zone appenniniche, ma anche nelle fasce periferiche dove il rischio terremoto non può essere escluso.
In virtù di ciò e basandosi sui dati elaborati dal Consiglio Nazionale dei Geologi, l’Ansa ha reso pubblico un grafico con il rischio sismico e gli edifici pubblici a elevata criticità regione per regione:
Piemonte: 136.485 abitanti, 398 scuole e 33 ospedali
Lombardia: 171.436 abitanti, 224 scuole, 24 ospedali
Friuli Venezia Giulia: 674. 704 abitanti, 995 scuole, 82 ospedali
Veneto: 551.473 abitanti, 729 scuole, 55 ospedali
Liguria: 211.658 abitanti, 114 scuole, 11 ospedali
Emilia Romagna: 1.308.443 abitanti, 1650 scuole, 196 ospedali
Toscana: 2.768.539 abitanti, 2864 scuole, 248 ospedali
Marche: 1.486.289 abitanti, 1767 scuole, 202 ospedali
Umbria: 785.776 abitanti, 826 scuole, 43 ospedali
Abruzzo: 703.802 abitanti, 1352 scuole, 90 ospedali
Lazio: 1.764.181 abitanti, 2521 scuole, 249 ospedali
Molise: 267.061 abitanti, 383 scuole, 29 ospedali
Campania: 5.318.763 abitanti, 4608 scuole, 259 ospedali
Basilicata: 508.975 abitanti, 704 scuole, 34 ospedali
Puglia: 824.503 abitanti, 798 scuole, 54 ospedali
Calabria: 2.009.330 abitanti, 3130 scuole, 189 ospedali
Sicilia: 4.665.992 abitanti, 4856 scuole, 390 ospedali
Per quanto riguarda gli ospedali, sono almeno 500, secondo una relazione presentata nel 2013 dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul Ssn, quelli più a rischio sismico e dislocati lungo l’Appennino.
Nel 2013 solo l’8% delle strutture ospedaliere analizzate era stata costruita dopo il 1983, mentre il 16% risaliva a prima del 1934. Inoltre, su 200 ospedali italiani censiti: “Il 75 per cento degli edifici verificati presenterebbe un indicatore di rischio di stato limite di collasso compreso tra lo 0 e lo 0,2, quindi carenze gravissime – conclude la relazione –. Se cioè si verificasse un terremoto particolarmente violento con magnitudo superiore a 6,2-6,3, il 75 per cento degli edifici che sono stati verificati crollerebbe“.