E’ famoso in tutta Italia per i suo quadri “intensi e carichi di tensione emotiva“, come li hanno definiti gli esperti. Colori forti, caldi, luminosi che danno vita a bambini e pagliacci.
Ma a Napoli e nel vesuviano il suo nome fa tremare, qui è “famoso” per essere il braccio destro armato del boss Valentino Gionta, il capo storico e fondatore del sodalizio criminale di palazzo Fienga. Ergastolano per 416 bis, detenzione di armi e droga, omicidi e estorsioni, questa la condanna emessa. “Tituccio” sta pagando la sua amicizia “scomoda” in carcere a Spoleto.
Il tempo per lui si è fermato all’8 novembre del 1991 quando si sono chiuse per sempre le porte del carcere di Secondigliano. D’allora ha cercato di racchiudere il mondo fuori quella cella su della tela bianca, miscelando colori e sogni e lo fa da oltre 25 anni. L’anno scorso hanno esposto nove dei suoi dipinti in una mostra nel Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, ora quelle opere sono state messe in vendita. Tituccio invece ha chiesto di poter donare il ricavato al reparto di oncologia per poter aiutare i bimbi malati di tumore.
“L’ergastolo vuol dire ammazzare la vita non solo di chi lo sconta, ma anche dei suo affetti più cari“, ha scritto in un blog. Da killer a pittore, le sue pistole ora sparano colori di vita, di gioia, di bambini felici che si tengono per mano, non c’è più spazio per il sangue e l’orrore della camorra.
“Sono anni che dipingo e trovo quest’espressione mia artistica la più acerrima nemica del mio tempo, che vivo nella speranza che esso un giorno sia veramente un tempo da vivere“, ha confidato al blog “Le urla del Silenzio”. “Amo la mia vita, nonostante i mali che l’affliggono. Vorrei essere un uragano, e con tutte le mie forze scacciare via tutti i suoi mali, che fanno dei suoi vissuti il dolore più immane”, continua nella sua lunga lettera.
L’ex soldato dei Gionta non chiede perdono, non si è mai pentito perché continua ad urlare la sua innocenza. Da quella gabbia fatta di mura e silenzio scrive poesie, alla donna amata e alla sua città Torre Annunziata, la stessa che gli ha dato e tolto la vita.