Un muro contro i messicani, un altro contro la decisione dello stesso neo Presidente americano presa nei confronti dei musulmani. Gli Stati Uniti di questi tempi assomigliano sempre più ad un cantiere. Stavolta è il tanto denigrato “Muslim Band”, che vieta agli abitanti dei sette Paesi a maggioranza musulmana di poter fare il proprio ingresso sul suolo statunitense, a costituire la mela delle discordia, capace di erigere una vera e propria cortina di ferro tra Donald Trump e il giudice James Robart. Se il primo, infatti, aveva reso esecutiva la nuova legge, l’altro è riuscito a bloccarla a livello nazionale.
Nello specifico si tratta di un’ingiunzione restrittiva con validità su tutto il territorio nazionale. Una misura richiesta dagli Stati di Washington e Minnesota, per i quali il provvedimento anti-musulmani era apparso discriminatorio e guerrafondaio, tanto che gli unici a prenderlo bene erano stati proprio gli uomini dell’Isis. Per quest’ultimi, infatti, si era trattato di una vera e propria dichiarazione di guerra. Subito ritirata, tuttavia, dal giudice federale James Robart.
A lui i complimenti di alcuni tra i più influenti uomini di legge degli USA, tra cui Jay Inslee, procuratore dello Stato di Washington: “Abbiamo dimostrato che in America nessuno, neppure il Presidente in persona, può essere al di sopra della legge. Affinché, infatti, la legge divenga esecutiva per davvero è necessario che si fondi su fatti realmente accaduti, ma al momento nessun attacco subito dall’America è stato mai portato dai sette Paesi citati nel decreto“.
Veemente la reazione di Donald Trump, che ha definito “scandalosa” la sentenza, verso la quale – tramite un tweet dalla pagina ufficiale della Casa Bianca – è già stato annunciato un celere ricorso:“Il Dipartimento di Giustizia intende presentare al più presto un ricorso di emergenza”.