Cento anni fa, un gruppo di maestri dell’arte, della danza e del teatro, viaggiavano insieme tra Napoli e Pompei, cercando spunti e idee per nuovi lavori e spettacoli cui dare forma. I quattro “grandi” erano Jean Cocteau, Pablo Picasso, Léonide Massine e Sergej Diagilev, che ad inizio secolo cercavano nella nostra terra il seme giusto da piantare per scrivere una pagina indimenticabile della storia del teatro contemporaneo.
Proprio in quell’anno, a maggio, avrebbe debuttato a Parigi “Parade”, spettacolo creato a 10 mani con coreografie di Massine, testo di Cocteau, scene e costumi di Picasso, Balletti di Diagilev e musiche di Satie.
Appena due mesi prima, era il 13 marzo, Cocteau dall’Italia scriveva così alla madre: “Siamo di nuovo a Roma dopo un viaggio a Napoli, e da lì a Pompei in auto. Credo che nessuna città al mondo possa piacermi più di Napoli. L’Antichità classica brulica, nuova di zecca, in questa Montmartre araba, in questo enorme disordine di una kermesse che non ha mai sosta. Il cibo, Dio e la fornicazione, ecco i moventi di questo popolo romanzesco. Il Vesuvio fabbrica tutte le nuvole del mondo. Il mare è blu scuro. Scaglia giacinti sui marciapiedi”.
Cocteau innamorato di Napoli, Picasso di meno, tanto che preferì restare a Roma, rispondendo così all’amico che lo invitava a raggiungerlo di nuovo nella città partenopea: “Sto bene a Roma, e poi c’è il Papa”. Ma Cocteau gli rispose: “Sì è vero, a Roma c’è il Papa, ma a Napoli c’è Dio”.
L’aneddoto, che emoziona, è stato raccontato dal direttore del Museo di Capodimonte, Sylvain Bellenger.