Hanno 19 e 17 anni, anagraficamente grandi, come le esperienze che li hanno segnati e la vita che forse nemmeno hanno potuto scegliere. Sono grandi e grossi, appunto, e sono ospiti della comunità Jonathan, che si occupa di minori a rischio e che li ha preparati a sostenere la prima prova della loro “normalità”: l’esame di terza media.
Il Corriere della Sera, con un’inchiesta di Antonio Crispino, ha fatto visita a questi tre ragazzi per raccontare il loro percorso verso la redenzione, dopo anni di paranza, tra spari, spaccio e controllo del territorio.
Purtroppo il recupero non è una formula matematica, con qualcuno riuscirà, con qualcun altro no. Non è facile resettare la mente di un ragazzo vissuto a pane e delinquenza e ricostruire tutto da capo. Ma certi segnali lasciano ben sperare: “Quando mi dicevano ‘vado a scuola’, io rispondevo ‘ma sei scemo? Che ci vai a fare a scuola?’ – dice uno di loro – Davo queste risposte così, ma ora capisco, prima non ho mai provato l’ansia, ora sto iniziando ad averla perché capisco che sto facendo le cose regolari, le cose che fanno tutti i ragazzi all’età mia. Sto provando certe cose in Comunità che non ho mai provato. Fuori facevo la vita così, mi ritiravo alle 4-5 del mattino”.
Non sempre, però, funziona così. La Comunità è spesso solo una dimensione parallela, una fase di stallo in attesa della fine del provvedimento giudiziario. Dopo si riprende da dove si era stati fermati: “A ottobre esco dalla Comunità – racconta un altro – La Comunità non mi è servita a niente, mica ti fa cambiare la Comunità. Deve essere una cosa di testa”.
Due facce diverse di una stessa medaglia. Intanto, in attesa che la pena faccia il suo corso, tutti e tre si godono questi scampoli di normalità, tra il tema di italiano e i libri di geografia.
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