Scandalo Università, il codice del professore napoletano pilotava i concorsi
Set 27, 2017 - Redazione
Lo scandalo dei concorsi truccati all’Università sta facendo riemergere a galla tutto il marcio che da anni infesta il sistema italiano. E a volte per rendere più giustificabile l’imbroglio, i professori coinvolti nell’indagine inventavano di tutto, talvolta con scarsi risultati di credibilità. Così faceva Fabrizio Amatucci, che è stato direttore del dipartimento di scienze giuridiche della Seconda Università di Napoli II e ha fatto parte dell’Academic Committee dell’Associazione Europea dei Professori di Diritto Tributario, ed è uno dei 7 arrestati. Nonostante, appunto, le motivazioni che il prof creava (secondo lui) ad hoc per avvantaggiare alcuni candidati a discapito di altri, spesso erano proprio allievi e colleghi a ritenere assurde quelle scelte.
“Ma come fai a non metterlo dentro questo? Come fai?” sbotta Roberta Alfano dopo che Maria Giovanna Petrillo le ha detto che il docente associato all’ateneo siciliano “è dotato della produzione più varia, povero cristo… Tocca tutto, tutto lo scibile della speciale, alla generale, alla processuale”. Il Mattino riporta lo stupore delle due professoresse che hanno hanno esaminato i curricula dei candidati e quindi sanno bene che l’ingiustizia che si sta materializzando è grande.
Ma è Amatucci a spiegare la mancata abilitazione dell’allievo, in questo caso del supertitolato professor Giuseppe Ingrao di Messina. Come? Con il codice Amatucci, attraverso espressioni diplomatiche.
L’abilitazione per i docenti universitari avviene, secondo la procura di Firenze, solo se sei nella lista di una delle fazioni che dirigono il concorso annuale. In quella di Amatucci, pare, ci sarebbero ventotto nomi di papabili suddivisi in due gruppi di seconda fascia, tra i quali sei probabili da abilitare, e un gruppo di prima fascia con quattro nomi su cui poter discutere.
Tutti gli altri vanno tagliati.
Il sistema funzionava più o meno ovunque così. Tutto pilotato, anche i sogni di chi credeva di essere giudicato solo per il proprio valore.