La dispersione scolastica si conferma, anno dopo anno, una delle piaghe più resistenti della Campania. La nostra, infatti, secondo un’indagine del Miur, è la seconda regione in Italia per numero di ragazzi che hanno lasciato precocemente la scuola (18,1% su un tasso nazionale del 13,8%). Una percentuale alta, che si aggrava con un altro numero indicativo, quello dei minori in povertà relativa (27,5% su una media nazionale del 22,3%).
Povertà e ignoranza vanno da sempre di pari passo, e tra i bambini e i ragazzi che vivono in condizioni di disagio la dispersione scolastica è considerevole: in Campania le scuole secondarie di secondo grado sono colpite da un tasso di abbandono del 5,06%, più basso solo di quello della Sardegna, su un dato nazionale del 4,3%, e dell’1,03% nelle scuole secondarie di primo grado, il secondo più alto dopo la Sicilia, su un dato nazionale dello 0,83%.
Come in tante altre cose, anche in questo caso il divario tra Nord e Sud è ampio, visto che nel Meridione la povertà relativa per i bambini è al 32,6%, contro il 16,1% del Nord. Il tasso di abbandono, nonostante si sia abbassato dal 2008 ad oggi, continua ad essere una delle sfide perse dalla scuola e dallo stato italiani.
E purtroppo parliamo di carenze gravi, di quindicenni che non apprendono neppure le competenze minime nella lettura (al Sud sono il 44,2%, nel Settentrione il 26,2%).
Come molti noteranno, questi dati rimbalzano dagli istituti di ricerca più volte all’anno senza sostanziali cambiamenti.
Al Sud permane una situazione grave di dispersione scolastica e di povertà a cui nessuno è mai riuscito a porre un freno. La politica locale può fare poco, se non rendere più facile il compito di associazioni e oratori che seguono i ragazzi meno fortunati in attività extra scolastiche e di doposcuola.
Ma la politica locale potrebbe anche sollecitare costantemente il governo centrale affinché affronti con serietà il problema, che è un circolo vizioso che trascina con sé grandi e piccoli drammi.
Purtroppo allo stesso tempo sappiamo che servirebbe una rivoluzione in grado di sovvertire un sistema chiuso che non funziona più ormai da decenni, con gerarchie territoriali che sono volutamente lasciate invariate.
Ma è avvilente assistere alla continua mortificazione di un Mezzogiorno che non è aiutato da nessuno, nonostante le sue disgrazie siano sotto gli occhi di tutti.