Dal risarcimento a Vittorio Emanuele III: i Savoia chiedono tutto eccetto il perdono
Gen 07, 2018 - Antonio Gaito
Vittorio Emanuele III
I discendenti dei reali Savoia, lo scorso 10 maggio, hanno scritto una lettera al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, al quale si chiedeva che venisse data la possibilità di far rientrare i resti mortali di Vittorio Emanuele III e di sua moglie Elena sul suolo italiano, richiesta che è stata esaudita. Le spoglie del monarca riposavano ad Alessandria d’Egitto, mentre quelle della regina al cimitero Saint-Lazare di Montpellier. I due coniugi adesso si sono ricongiunti nel santuario di Vicoforte, in provincia di Cuneo, costruito a fine Cinquecento e pensato proprio come mausoleo della dinastia sabauda.
Tale evento non poteva certamente passare inosservato e ha dato adito a non poche discussioni. La figura di Vittorio Emanuele III e molte delle sue decisioni politiche sono a dir poco controverse. Il ritorno in Italia dei resti di questo personaggio non è stato salutato da nessun esponente dello Stato italiano, ma già il fatto che la salma sia rientrata grazie all’utilizzo di un aereo dell’aeronautica militare fa pensare, poiché implica un eccessivo coinvolgimento del governo italiano in questa operazione. Non si capisce perché, per tale evento, sia stato necessario un volo di Stato, sovvenzionato con fondi pubblici. La spesa è stata giustificata come esercitazione, tuttavia è più che evidente che si tratta di un mero pretesto.
Pronta è arrivata anche la protesta delle comunità ebraiche italiane ed in particolar modo della loro presidentessa, Noemi Di Segni, la quale ha ribadito quanta inquietudine ha suscitato il rimpatrio dei resti mortali di chi non solo ha avallato la partecipazione a due guerre mondiali, ma è stato anche complice della nascita e del consolidamento del regime fascista ed ha firmato le leggi raziali il 5 settembre 1938.
Come se non bastasse i discendenti di Vittorio Emanuele III non paiono completamente soddisfatti del risultato ottenuto. Essi hanno fatto sapere che continueranno a battersi affinché i resti del ex sovrano sabaudo vengano trasportati al Pantheon di Roma, dove già riposano Vittorio Emanuele II ed Umberto I e si dicono, addirittura, sorpresi dall’alone di segretezza e silenzio che ha accompagnato il ritorno di un personaggio che ha certamente fatto la storia d’Italia ma che si è troppo compromesso con gli orrori del ventennio fascista.
I Savoia non smettono dunque di far nascere polemiche, come quella sorta all’indomani del cessato esilio quando ebbero l’ardire di chiedere allo Stato Italiano un risarcimento di 260 milioni di euro: danni morali provocati dall’esilio, noncuranti dei danni che la dinastia ha causato a una nazione (lasciamo perdere, in questa sede, la più antica questione dell’annessione del Mezzogiorno nel 1860-61, quando pure furono commessi atroci delitti) alla quale dovrebbero chiedere invece perdono, date le condizioni disastrose in cui hanno lasciato l’Italia dopo alla fine della seconda guerra mondiale.
Nessuna pompa magna e nessuna gloria spetta a chi ha anteposto il bene della propria dinastia e della propria corona a quello del Paese che oggi ha, comunque, dato il proprio benestare per il rientro delle spoglie. Una scelta dettata da un sentimento di umana compassione che però deve circoscriversi ai fatti di Vicoforte. Impassibilità ed intransigenza bisogna, invece, mostrare al cospetto dell’eventualità di un’ulteriore traslazione al Pantheon che non può e non deve ospitare le spoglie mortali di Vittorio Emanuele III.