Siamo stati ospiti di una delle più belle, e indipendenti, realtà della discografia napoletana, la sede della Full Heads nel cuore della città.
Abbiamo incontrato la voce, di quella band che “Rockit” ha definito “conservatori reazionari” che è La Maschera, freschi di uscita con il loro secondo lavoro in studio “ParcoSofia”.
Esempio calzante di chi, partendo dal basso di quella tanto bistrattata area nord di Napoli ha rivoluzionato la scena popolare della musica regionale degli ultimi anni.
Un miscellanea ricetta tra la tradizione “tarantelliana” e “cantautorial-melodica”dello scorso secolo e le influenze più moderne,bridge blues e folk,colorazioni etniche e di world music oltre che nell’impegno dei testi, che ne detiene il valore dietro l’apparente allegria di tanti brani.
Reduci da due serate importantissime, come il pienone registrato all’arenile di Bagnoli lo scorso 23 Dicembre e dal palco di Piazza del Plebiscito al concertone di Capodanno insieme con il progetto “Terroni Uniti” a parlare con noi è la voce del gruppo, nonché polistrumentista (chitarra, tastiere, flauti, sax) Roberto Collela, accompagnato dalla tromba Vincenzo Capasso per l’occasione, a completare il progetto Antonio Gomez (basso), Marco Salvatore (batteria) e Alessandro Morlando(chitarra solista).
Partiamo, facciamo questo esperimento, mettendoci davanti ad un virtuale pubblico che non vi conosce, come musicisti di strada, cercando di attirare il passante medio, quale sarebbe il metodo o l’eventuale brano da voi scelto?
-”Probabilmente il primo brano che uscirebbe fuori sarebbe “Pullecenelle” , ha proprio come ambientazione del testo la strada, che parla appunto di chi passeggia, la figura di Pulcinella descrive il napoletano e alcune delle sue caratteristiche predominanti della cultura, il binomio che si ripete spesso tra allegria e malinconia. E’ una canzone che si rivolge spesso a chi è apparentemente distratto, trova la sua forza nella sua semplicità, il ritornello è orecchiabile e torna in mente. Sarebbe sicuramente quella la canzone e in un certo senso è qualcosa che è già successo, quando facemmo il videoclip, la band esisteva da due mesi e nessuno ci conosceva, quindi girammo proprio per strada, cantando (fu un idea del regista, Enzo Caiazzo ) e il video fu tutto lì, capire chi ci seguiva e nonostante il caldo del due Agosto e il fatto di essere totalmente sconosciuti furono in tanti a seguirci.
Napoli ha questa forza, la gente è in apparenza distratta ma si accorge di tutto, quindi in realtà è attento a tante dinamiche, Massimo Troisi parla del potere subdolo,”il nemico non è palese”appena si capirà contro chi rivoltarsi magari ci saranno altre quattro giornate.”
Ripartendo proprio da “Pullecenella”, il grande successo è sopraggiunto proprio col boom virale successivo alla pubblicazione del brano, quindi per te ,intento a partire in quel momento,è stato come una sorta di sliding doors, dove sarebbe oggi Roberto senza quel successo improvviso?
-”E cchiò sape,probabilmente sarebbe a Praga (avevo vinto un erasmus) anche se non avevo molta intenzione di studiare, volevo lavorare lì pianificando quasi un trasferimento, invece il fatto che sia successo tutto quasi per caso e tutto così in fretta, ha fatto si che cambiassi idea, dobbiamo sopratutto ringraziare delle persone che ci hanno dato una mano, come Enzo Capasso, regista che alla nostra terza serata ( in realtà in contest, il terzo in assoluto a cui partecipavamo) nonostante non vincemmo, decise comunque di regalarci la possibilità del videoclip. Altra persona importantissima è Luciano Colella, che ci ha passato in metropolitana, rendendo il tutto virale. Poi c’è stato Gianni Simioli che ha deciso di passarci in radio (Radio Marte) da perfetti sconosciuti. Dopo tre mesi di carriera non ti aspetti che succeda tutto questo, sopratutto da chi viene dalla provincia,non ci si aspetta tutto questo senza ancora aver dato nulla in cambio. Siamo diventati amici e ci vogliamo bene ma non abbiamo mai avuto interessi economici ma solo la volontà di trasmettere determinate cose attraverso la musica. Credere in se stessi, sposando una causa, sostenuti dalla gente ,non avevamo quasi intenzione di lavorare ad un disco inizialmente.
Andando avanti, ma approfondendo ancora questa metafora che si cela dietro la maschera di Pulcinella, il vostro personaggio è diverso, forse più malinconico e disincantato, io provo a paragonarvi a quella maschera che fu di Eduardo “Il figlio di Pulcinella”, una maschera oramai anziano,rinnegato e sfruttato per quello che era il suo rapporto con il popolo, soppiantato poi dal figlio, potrebbe essere in rapporto con una Napoli moderna che da una parte si fa forza delle sue tradizioni dall’altra si sente emancipata e quasi rinnega certi stereotipi,voi come vi ponete al riguardo?
-”Io non credo che il popolo stia rinnegando la propria storia, credo forse sia un po’ stanco magari di essere accostato a degli stereotipi. In questo caso Pulcinella non è il giullare, o il pagliaccio di corte, ma è uno degli sconfitti di Napoli. nella canzone esce sconfitto, il menefreghismo lo incarna quasi come una virtù che non è, lui vaga in una città distratta, nessuno ha più interesse a concedersi un attimo, quindi Pulcinella può essere ognuno di noi, personaggi senza maschera. nel video è rappresentato un personaggio in maschera ma nella realtà lui non ne ha, e a fine video la toglie dandola allo scugnizzo, la sconfitta nella fretta della vita attuale, come oggi nell’avere qualcosa da dire ma non avendo un pubblico che ti ascolti, attualmente succede spessissimo. Come anche tanti artisti che non hanno l’attenzione che meritano. “
Cominciando a parlare del primo disco “O’ vicolo e l’alleria”, voi che venite dalla periferia nord est di Napoli vi siete anche impegnati da un punto di vista di testi come in un brano come “Gente e nisciun” in riferimento alla terra dei fuochi, prosegue per voi l’impegno sociale o comunque l’attenzione a determinate tematiche?
-”Certo, sono argomenti che forse non riuscirò mai a lasciar andare, in quella canzone, figlia anche dell’inesperienza e dell’ingenuità, oggi forse non parlerei di un argomento del genere e in quel modo lì, nel secondo disco le tematiche sono molto addolcite, si trova l’escamotage attraverso la leggerezza della musica, per divertimento personale, mi piace parlare di certe cose in maniera genuina, essendo credibile, non bisogna diventare fini a se stessi con “paraculaggine”,bisogna comunicare nel proprio modo.
Per l’appunto anche in maniera “sonora” le tamatiche tra il primo e secondo disco sono trattate in maniera diversa, nel primo album l’iconografia più onirica del ballo in un vicolo, qualcosa di più immaginifico, nel nuovo lavoro c’è invece qualcosa di più concreto anche nelle immagini che ci offre,siete d’accordo?
-”Si,c’è una musicalità diversa, dovuta anche ad una ricerca personale di tutti noi, si cresce si sperimenta mettendo in musica, qualcosa di più complicato offrendo una veste apparentemente semplice, lo si fa con la musica ma anche con i testi, in questo disco si offrono viaggi appartenenti a luoghi maggiormente reali misti a riferimenti immaginiari, anche ParcoSofia è qualcosa di reale.”
La mia visione è quella di un disco più maturo, non tanto da un punto di vista qualitativo ma nella trattazione di momento di svolta, tra un età ed un’altra, crescita personale, in rapporto tra l’infanzia e l’età adulta, vero?
-”Non sono capace di descrivere il processo di scrittura dei testi, ma è qualcosa venuto fuori con grande spontaneità, non scelgo un tema e ci lavoro sopra, mi è difficile pensare ad un concept album, se penso troppo a qualcosa diventa freddo a me, invece, piace lavorare ancora con quel calore sotto mano.”
Parlando invece delle collaborazioni che sono venute fuori all’interno del disco, come Gnut o Daniele Sepe, Dario Sansone etc?
-”La cosa bella è che siamo tutti molto amici, le collaborazioni di questo disco sono con persone con cui abbiamo condiviso tantissimo nel corso di questi ultimi tre anni, con Daniele (Sepe) ho condiviso veramente un rapporto quotidiano, tra la collaborazione del progetto “Capitan Capitone e i Fratelli della Costa” e un rapporto che andava al di là della professione, dalle cene in trattoria si chiacchierava e nascevano idee, ci si trovava con tutti e con lui ho imparato tantissimo, uno che ama sempre parlare di musica, artista poliedrico e mette il suo sapere a disposizione.
Ad esempio, aneddoto, il brano “Le valse du Capiton” inserito nella colonna sonora del film “La gatta cenerentola” nacque per caso al bar, io gli chiedevo delle cose su delle progressioni armoniche e lui disse “adesso ti faccio vedere una cosa” . c’era un pianoforte all’interno e si trovò a registrare quella progressione armonica con il telefonino e su quella fece, insomma uno che ha tanto da dire e tanto da dare.
Ho trovato la stessa disponibilità in Michele Signore, quello che ha fatto i violini e il missaggio del disco, persona con un sapere incredibile, ho imparato un sacco di cose, persone aperte alla loro esperienza.
A proposito di “ParcoSofia” che vede una contrapposizione da una parte classica e dall’altra invece etnica e multietnica, musicalmente parlando, come nel caso della collaborazione con l’artista africano Laye Ba…
-”Dovuto al corso delle cose, questa conoscenza che poi ci ha portato in Senegal, e la contaminazione è diventata naturale, sono andato anche a ricercarmi elementi della musica africana, cercando l’emulazione di certi passaggi e di certe atmosfere, è questo il gioco in cui ci siamo cimentati, mischiando la musica di dove proveniamo con quella scoperte, in “Case popolari” il connubio tra la giungla africana e il romanticismo napoletano, ti riporta al classico napoletano senza avere quegli stilemi, solo il sapore.
Pensando a quella che potesse essere l’idea dietro il “luogo fisico” che c’è in ParcoSofia, mi ha ricordato molto un disco, uno di quelli della svolta di inizio carriera di Bob Dylan “Highway 61”, che per l’appunto narrava di quel luogo fisico,natale, che c’era tra il Minnesota e il Mississippi, quindi il vostro disco può aver avuto anch’egli un influenza dovuta ad un localizzazione geografica?
-”Questo non so se ha influito, il titolo ad esempio è venuto dopo, il titolo è stato più voler collocare le storie da qualche parte ma le storie sono tutte lontane da lì,è uno dei luoghi di infanzia e forse riguardandolo dopo tempo a distanza guardi le cose con una percezione diversa, a differenze de “O vicolo e l’alleria” dove le storie sono tutte lì.
Hai scritto un pezzo come “Salam Aleikum”, ma quindi come è per te il rapporto attuale, tra un paese che va etnicamente mescolandosi e la sua difficile convivenza?
-”Io la vedo come una cosa bella l’influenza multietnica, l’altra volta girando una cosa a Castelvoltuno ci trovammo ad aver a che fare con ottanta etnie diverse e una cosa che mi piacque troppo fu sentire delle musiche che venivano dalle cose e dalle finestre, diedero dei colori al posto, fu qualcosa di bellissimo, per me la diversità è arricchimento, il popolo napoletano è già coloratissimo di suo e ha tante sfaccettature, però se c’è anche altro di diverso non può che far piacere, bisognerebbe predisporsi a capire cosa hanno da dire gli altri.
Invece da un punto di vista di scelta del dialetto che da sempre contraddistingue la peculiarità e la comunicazione nelle vostre canzoni, parlatecene.
Non riuscirei, per ora, a scrivere diversamente, non riuscirei a sentirmi autentico esprimendomi in un’altra lingua, però se dovessi ritrovare l’emozione in qualcosa di scritto in italiano come quando scrivo in dialetto non è escluso che possa optare per quello, l’importante è non vergognarsi mai di ciò che si scrive, mi succede dopo 24 ore che ho scritto, se percepisco la stessa emozione di quando l’ho scritta vuol dire che ho fatto la scelta giusta, ma non escludo una scrittura anche in italiano in futuro.
Ringraziamo La Maschera rimandandovi alle loro pagine ufficiale per tenervi informati sui futuri concerti ed esibizioni del gruppo, la festa di ParcoSofia continua.