La verità non è sempre semplice. Spiegare sommariamente il male, la criminalità, dare un senso ai casi di cronaca che imperversano su tv e giornali è un’operazione molto più complessa di quanto possa apparire. Da mesi, il nuovo caso mediatico su cui organi d’informazione e opinione pubblica stanno dibattendo è quello delle babygang.
L’ultimo caso di cronaca (quello di Arturo, il ragazzo accoltellato in via Foria lo scorso dicembre) ha riacceso il dibattito, puntando i riflettori su due “protagonisti” di questa vicenda: Napoli e Gomorra. Che la città partenopea non goda di “buona pubblicità” da parte dei media italiani non è certo una novità. L’occasione per screditare la città è troppo ghiotta per chi ha fatto dello Sputtanapoli una ragione di vita.
Come se aggressioni, furti e violenze da parte di giovani delinquenti avvenissero solo nella città partenopea, e tutto il resto del paese fosse estraneo a questo fenomeno. Torino, Verona, Parma, Piacenza, Roma, e anche Londra. Quello delle babygang è un problema generazionale che non riguarda soltanto Napoli, ma tutto il mondo.
Noioso, è vero, ma necessario citare alcuni tra i più clamorosi casi di cronaca che si sono verificati in questi ultimi anni, da Nord a Sud. Si pensi a quanto accaduto a Verona la sera del 19 dicembre scorso, quando un gruppo di minorenni ha dato fuoco ad un senzatetto, ammazzandolo, e giustificando l’assurdo gesto così: “era uno scherzo, non l’abbiamo fatto apposta”. Analoga situazione anche a Torino, dove nelle ultime ore una dozzina di ragazzi si è resa protagonista di aggressioni e furti in pieno centro.
Troppo semplice, quindi, circoscrivere il fenomeno alla sola città di Napoli. Altrettanto semplicistico, poi, è demonizzare Gomorra, come se quello delle babygang fosse un problema riconducibile ad una serie televisiva. L’emulazione non può, da sola, giustificare ciò a cui stiamo assistendo. La violenza non si spegne con un telecomando. La degenerazione morale che sta attraversando la società è un problema ben più serio di quello che le istituzioni vogliono far credere.
Già, perché se la caccia alle streghe nei confronti di Gomorra ad opera del semplice cittadino non deve stupirci più di tanto, discorso diverso è se a ergersi a “censore” di Gomorra è una figura politica di primo piano. Dal questore di Napoli De Iesu al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, le istituzioni locali e nazionali ripetono a gran voce un unico slogan: “è colpa di Gomorra”.
Non dobbiamo preoccuparci di una serie tv, e nemmeno dei libri di Roberto Saviano. Piuttosto, bisognerebbe riflettere sulla mancanza di soluzioni che la politica italiana ha messo in campo per sconfiggere questo fenomeno e, soprattutto, sull’importanza del ruolo dei genitori, il primo, e più importante argine che si frappone tra i giovani ed il mondo della delinquenza.