Processo Dj Fabo, pm chiede assoluzione di Cappato: “Mi rifiuto di essere l’accusa”
Gen 18, 2018 - Luisa Panariello
“Io mi rifiuto di essere l’accusa. Io rappresento lo Stato. E lo Stato è anche Marco Cappato“. Con queste parole destinate a fare storia nella giurisprudenza italiana, al di là dell’esito del processo, la pm Tiziana Siciliano ha chiesto l’assoluzione di Marco Cappato, il radicale che aveva accompagnato verso il suicidio assistito Dj Fabo, avvenuto a febbraio dello scorso anno presso una clinica in Svizzera.
Il dj, cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale, sofferente e senza alcuna speranza di miglioramento, dopo un annoso calvario di tentativi puntualmente respinti dall’ordinamento italiano, incluso uno straziante videomessaggio al presidente Mattarella in cui chiedeva di poter morire in Italia, aveva scelto di andare a morire, all’età di trentanove anni, alla clinica Dignitas poco distante da Zurigo, accompagnato e sostenuto dalla fidanzata, dai familiari e da Marco Cappato, in qualità di presidente dell’associazione Luca Coscioni.
All’uscita dalla clinica, impegnata nella salvaguardia “del diritto alla vita, all’autodeterminazione, alla libertà di scelta e alla dignità fino alla fine”, Cappati era rientrato in Italia per autodenunciarsi. Il reato era quello, stando alla legislazione italiana sul fine vita, di “aiuto al suicidio”.
Nell’interrogatorio ha ribadito le proprie responsabilità affermando che aiutare Fabo a scegliere di morire degnamente fosse per lui un dovere.
La Procura ha chiesto per lui l’assoluzione, perchè il fatto non sussiste e Cappato non ha avuto alcun ruolo nella fase esecutiva del suicidio assistito, non avendo forzato il dj nella sua volontà di morire. Fabo stesso aveva dovuto mordere nel pieno delle sue facoltà mentali un pulsante che avrebbe messo in circolo il farmaco letale nel suo corpo. “Se verrà condannato Cappato, dovranno esserlo anche tutti gli altri famigliari e anche il portiere del palazzo che quella mattina aprì il portone a Fabiano, salutandolo per l’ultima volta, sapendo che andava a darsi la morte”. ha concluso il pm.
L’atteggiamento dell’accusa appare, al di là della valenza penale, attento al lato umano della vicenda di Fabo, risarcendolo in qualche modo del vuoto normativo sul fine vita che lo ha costretto ad andare a morire in un altro paese.
Ma ancora una volta è l’amico Cappato il depositario di una verità amara quanto incontrovertibile: “Se dovesse arrivare una assoluzione che definisce irrilevanti le mie azioni, mentre sono stati determinanti, vi dico che preferirei una condanna – ha detto l’esponente radicale, rivolgendosi ai giudici – Quella motivazione paradossalmente aprirebbe la strada a qualcosa che nessuno può volere: si accetterebbe che solo chi è in grado di raggiungere la Svizzera può essere libero di scegliere. Se Fabiano fosse stato residente a Catania, non sarebbe potuto andare in Svizzera e nemmeno se non avesse avuto 12mila euro a sua disposizione”.