La storia di Robert: “Io, nato donna, dopo 8 anni sono libero di essere me stesso”
Mar 04, 2018 - Federica Barbi
Ci sono tanti modi per dare un senso alla propria vita, e uno di questi è cominciare a vivere davvero. Ne sa qualcosa Robert, Robbie per gli amici, un ragazzo di Torre Annunziata che dal suo cappello di “mago” ha tirato fuori un coraggio da leone. Il coraggio di cambiare corpo, di cambiare identità, di ricongiungere la sua natura interiore alla sua immagine esteriore. Perché Robert, per tanti anni e tanta gente, è stato “Roberta”. Soltanto una lettera a fare la differenza, ma un lunghissimo universo parallelo vissuto tra dolore e negazione di sé. Due decenni di resilienza, trascorsi nella consapevolezza di essere un’altra cosa, una cosa diversa da quella che lo specchio rifletteva.
Eppure, non c’è stato giorno in cui Robert si sia sentito una donna. Ogni ricordo che gli accarezza la mente disegna la sua immagine attuale: quella di un uomo, fuori e dentro: “Il primo episodio me lo racconta mia mamma, avevo un anno, era il mio compleanno, mi portarono un regalo, lo scartai, ma appena vidi che era una barbie la buttai per aria. Non avevo una chiara percezione da piccolo della differenza tra donna e uomo, ma col tempo la percezione dell’identità ha iniziato a farsi viva con i vestiti, gli atteggiamenti, le cose da fare. Il boom c’è stato nella pre-adolescenza, quando ho cominciato a capire che il femminile non funzionava per niente, e io non mi vedevo accanto a un uomo ma accanto a una donna”.
Ma la presa di coscienza non è stata una passeggiata, e soprattutto non gli ha sempre garantito l’accettazione degli altri: “Io sono sempre stato visto come una via di mezzo, stavo con i maschi ma c’erano delle cose che mi facevano stare fuori dal coro, ma per gran parte della mia vita ho avuto amici che non mi hanno quasi mai fatto sentire fuori dal coro. Ho avuto un’adolescenza normale nei rapporti con gli altri e non ho mai avuto problemi con le ragazze. Dal punto di vista relazionale tutto andava abbastanza bene, ma a scuola è stato difficile. I professori mi chiamavano col nome femminile, per me è stato molto difficile, loro non capivano. Non ho cambiato scuola, ma col senno di poi lo avrei fatto”.
Dopo la maturità, l’università. Lì è stato facile, per Robbie, nascondere quella “a” sulla carta d’identità. Il suo corpo e la sua voce poco femminili, i vestiti larghi, il suo sentirsi uomo a prescindere, gli hanno permesso di crearsi un micromondo in un mondo nuovo, in cui poter essere finalmente se stesso. Sono stati anni felici: “Ho iniziato finalmente a vivere al maschile, perché nessuno mi conosceva. E’ stato un periodo felice perché ho incontrato una persona con cui ho avuto una storia, abbiamo praticamente convissuto. E insieme a lei ho avuto tante soddisfazioni”.
Dopo poco, però, a causa di problemi familiari, un nuovo periodo nero: perde la fidanzata, il suo migliore amico, l’unità della sua famiglia e quel pizzico di serenità che aveva conquistato, fino a quando non incontra una nuova ragazza: “Quando l’ho conosciuta tutto mi si è riacceso, c’è stata una connessione istantanea tra noi, e quasi subito le ho raccontato di me, che sentivo la necessità di fare questo viaggio e lei mi disse che conosceva un’altra persona che l’aveva fatto. Così contattammo questa persona che mi spiegò tutto, lei mi diceva che era inutile farmi venire i sensi di colpa. Io ho pensato che dovevo afferrarla la mia vita. Così decisi di andare da mia mamma, lei mi disse che aveva capito che volevo iniziare il percorso, avevo 22 anni”.
La transizione – il percorso per chi vuole cambiare sesso – è un viaggio verso la libertà, ma è lungo e tortuoso. La fase iniziale è quella della diagnosi, dove uno psicologo o psichiatra deve diagnosticare la disforia di genere e stilare una relazione che permette alla persona di accedere alla terapia ormonale e al percorso burocratico per l’intervento e il cambio nome.
Nel caso di Robbie, il tutto è durato 8 anni. Un percorso tortuoso, partito con difficoltà, intoppi e poco supporto, fino a quel 24 maggio 2012, data che si è tatuato addosso: “Avevo ottenuto la relazione della psicologa, e quel giorno sono andato dal mio endocrinologo che mi ha dato la mia prima fialetta di ormoni. Dal momento in cui ho fatto quella puntura mi sono sentito subito meglio, è iniziata subito la mia apertura, mi sono sentito libero di essere me stesso. Dalla prima puntura di ormoni poi è passato tanto tempo per l’operazione. Ho conosciuto un avvocato che in un anno e 8 mesi mi ha fatto avere l’autorizzazione per il primo intervento. 5 mesi dopo ho fatto anche l’altro”.
Robbie parla poco dei suoi genitori, ma lascia intendere che, dopo un momento iniziale di spaesamento generale, lo abbiano sempre lasciato libero: “Inizialmente non capivano, ma quando ho iniziato gli interventi è cambiato qualcosa, è cambiato qualcosa quando cambiava il mio fisico. Poi comunque mia madre mi accompagnava alle visite per capirne di più, mio padre mi accompagnava dallo psicologo, ma forse non capivano bene cosa stesse accadendo. Mio padre credeva che io fossi omosessuale, ma io credo ci sia una grande differenza tra identità di genere e gusti sessuali. La mia identità prescinde dalla mia sessualità. Io non potevo vivere la mia vita al femminile, non potevo vedermi come la figlia, la sorella, la cugina di qualcuno. Nella mia mente ero padre, fratello, cugino. Quando ho fatto la mia prima operazione anche lui ha capito che era un punto di non ritorno, e ha capito la differenza”.
Ma di pari passo alla comprensione della sua famiglia, hanno camminato spesso l’ignoranza e la cattiveria della gente. Quelli che oggi chiamiamo “bulli”, ieri erano semplicemente teppisti, e Robbie ha avuto più di un incontro ravvicinato con loro: “Una volta stavo andando da una mia amica e stavo per prendere la vesuviana e dei ragazzi che mi videro là sotto, presero dei sassi e me li tirarono contro. Scappai, mi rincorsero, poi riuscii a seminarli. Le persone diventano animali, scatta la meccanica del branco, quando vedono l’elemento debole, lo gettano fuori. Soprattutto nelle dinamiche del gruppo. Magari singolarmente queste persone sono anche sensibili ed empatiche, ma in gruppo diventano cattive. Educazione e ignoranza? Non è sempre così, a volte sono proprio le meccaniche di gruppo che vanno oltre tutto”.
Nord o Sud, Napoli o Milano, non cambia: “Ci sono classi di persone che capiscono e altre che non lo capiscono. Io posso dire che per fortuna quando mi sono esposto ho avuto più reazioni positive che negative. Forse riconoscono qualcosa in me e capiscono perché ho fatto il mio percorso. Secondo me non c’è molta differenza tra Napoli e il resto d’Italia, anzi qui spesso quando ti accolgono lo fanno benissimo, ti fanno sentire parte di qualcosa”.
La forza che ha acquisito con il suo viaggio, ora Robbie la mette al servizio di chi cerca e non trova il suo stesso coraggio: “Molti ragazzi si confidano con me, mi raccontano di situazioni un po’ ai limiti, io l’unico consiglio che mi sento di dare è trovare la propria strada sempre, l’episodio è inevitabile, non puoi evitarlo l’episodio, se scegli di essere te stesso devi sceglierlo con i pro e con i contro. Quando ti esponi c’è sempre qualcuno che dovrà fare il bastian contrario. Io consiglio di fare un percorso personale di crescita, di andare avanti. Alla fine se hai dei valori vieni fuori e vieni apprezzato per questo”.
Il futuro, per lui, è una scatola chiusa tutta da scoprire. E se prima desiderava “normalità”, ora invece cerca qualcosa in più. Girare il mondo, prendersi il “lusso” di stare al passo con la vita , senza più rincorrerla: “Un anno fa ti avrei risposto risposto che volevo una famiglia, una vita ordinaria, una casa con moglie, eventualmente dei figli, niente di speciale. La mia felicità nella mia mente significava avere una normalità. Ora se ci ripenso penso che era una zona morta, che non era la mia felicità, che era l’idea della normalità perché non mi ero mai sentito normale, volevo avere quell’etichetta, che io invece non voglio. Ora non mi interessa questa vita normale, sono focalizzato su altro, voglio andarmene, voglio partire, voglio guardare il mondo, ora che non ho nessun vincolo”.
Del suo percorso ha raggiunto la destinazione già da un po’, eppure ci sono ancora tante piccole esperienze da inaugurare.
Tra queste, una su tutte, forse la più semplice: “Non vedo l’ora di andare al mare”.
Andare al mare e nuotare così, senza “a” di troppo e senza più spigoli sul cuore.