“Lo Calateo Napolitano”. Sapevate che a Napoli è stato scritto un galateo in dialetto?
Mar 03, 2018 - Alina De Stefano
“Lo specchio de la cevertà o siano schirze morale aliasse lo Calateo Napolitano pe chi vo ridere e mpararese de crajanza” è questo il nome per esteso del galateo napoletano scritto da Nicola Vottiero nel 1789.
Proprio così, anche a Napoli è stato scritto uno dei più completi, estesi e divertenti manuali delle buone maniere. E anche nel ‘700 il motivo che mosse Vottiero è quello che anche oggi è di moda: riscattare l’orgoglio dei napoletani, maltrattati da pregiudizi inconsistenti. E così il napoletano Nicola in una bella premessa all’opera spiega che il suo obiettivo è proprio quello di correggere i difetti dei partenopei così da non essere più derisi dalla gente forestiera. Un vero patriota, innamorato della sua terra che oltre a difendere la sua bella Napoli a parole, ha provveduto a scrivere un lungo trattato con più di 200 regole comportamentali utili a rendere civile ed educato il suo popolo. Ma oltre l’utilità pratica di quest’opera didattica ed educativa, Vottiero ostenta tutta la sua passione scrivendo in napoletano, nel dialetto locale, conscio che nel ‘700 a Napoli non tutti parlavano, scrivevano e capivano in italiano. Permettendo così di frantumare quel muro innalzato dai cocciuti accademici delle lettere, che consideravano le parlate locali inadatte alla letteratura o da destinare solo a stesure umoristiche e volgari.
Così nel suo Calateo si legge che “non t’aje d’avantare, ma t’aje da fare avantà da l’autre”, poi ribadisce l’importanza di “ire a la scola” per non diventare “sciuocche”, ma soprattutto “quanno se promette, besogna ch’attenna la promessa”. Quando si cucina “non hanno da stà sozzuse dinto a le cucine e non hanno da tenè le mano unte”. Critica i lamentosi sempre afflitti da qualcosa quando la verità è che “a Napole se pò campa con poco e co assaje, perchè con una tosca (vecchia moneta di poco valore) se pò magnà pane, carne e vino”. Essere sfacciato neanche è da galantuomini perchè sanno solo dire “damme e prestame” senza fare nulla. E quando si ruba, si inganna o si fanno delle frodi, bisogna pentirsi e “tornà la rroba a lo patrone”. E a rendere tutto ancora più esilarante sono le chicche finali dei 205 capitoli dell’opera in cui Vottiero estrapola dalla tradizione popolare delle storielle divertenti che fungono da morale educativa ed esplicativa per ogni singolo difetto trattato nei capitoli.
Ma a prescindere da tutto, quest’opera emana un sapore e un amore “napolitano” che solo chi ama davvero questa terra sa trasmettere.