Il dottor Antonio Marfella torna a parlare dopo la bufera mediatica che gli è piovuta addosso per le dichiarazioni rilasciate sull’ospedale Pascale e sulle sue condizioni di salute. A pubblicare la sua lettera è Il Corriere del Mezzogiorno:
“Ora non sono più solo un medico, né del Pascale, né di altra azienda: sono un ammalato che lotta per la vita e deve decidere cosa fare, dove andare, come tentare di non farsi vincere dalla malattia che, come affermava Veronesi, non io, tra ormai pochi anni colpirà un cittadino su due.
È contro questa epidemia vera, non combattuta sul giusto versante della prevenzione primaria, che sto spendendo tutte le mie energie di medico dell’Ambiente, in questi ultimi dieci anni, in Campania e in Terra dei fuochi. […]
Ora sono in lista di attesa, come tutti i pazienti campani che non godono dei privilegi di cui io potrei godere. Lo potevo e lo potrei ancora evitare, sia al Pascale che altrove. È veramente un’angoscia vivere con il cancro, ogni giorno che passa, e lo si comprende bene solo da paziente: solo passando dall’altra parte. […]
So perfettamente quanto ottimo lavoro sia stato fatto per ridurre le liste di attesa da sei mesi (una vergogna!) a circa trenta giorni. So molto bene anche quanto mi è costato. Come medico mi bastava, come paziente no. […]
Come ha certificato non più tardi di un paio di mesi fa il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, prof Riccardi, l’intera sanità campana, non certo solo il Pascale, soffre di gravi carenze strutturali ed organizzative, che ci portano a molti anni in meno di aspettativa di vita media. Abbiamo numerose eccellenze individuali, ma assolutamente non organizzazioni di eccellenza, tutt’altro. Pertanto, anche numerosi medici e primari campani spesso non restano a curarsi in Campania.
Le mie scelte tecniche di percorso diagnostico–terapeutico da paziente come tutti (per scelta in questo caso non appartenente alla grande «famiglia» del Pascale, e quindi comunque privilegiato) sono inoppugnabili. Come medico posso avere ferito, e ho il dovere del ruolo di chiedere scusa innanzitutto di avere scelto di non volere godere del privilegio che mi compete per ruolo. Come paziente no, niente affatto: viva Dio! ho spronato.
Amo il mio Istituto e la sua migliore organizzazione più di quanto tema il mio cancro. Parlando della mia esperienza, ho bene illuminato anche i politici e le «iene» varie che speculano, non solo sul mio caso contro di me ed il mio Istituto, ma contro la corretta informazione a tutti i cittadini campani sui problemi organizzativi reali comunque esistenti nella nostra sanità, a partire dal mancato controllo dell’ambiente in cui viviamo.
Adesso sono dall’altra parte, quella degli ammalati. Forse io dall’altra parte, come medico anargiro, ci sono sempre stato. Come è stato già dimostrato proprio con l’esperienza dei grandi medici nel libro «Dall’altra parte» che hanno costituito la migliore Commissione Sanità del ministro Livia Turco. Come ho già proposto da anni e ribadisco adesso, accettando il «tritacarne mediatico» che ha colpito innanzitutto la mia famiglia, perché non pensare di utilizzare medici ammalati per fare la migliore commissione alla Sanità, non politica né politicizzata, per affrontare ma soprattutto risolvere veramente i problemi organizzativi evidenti della Sanità campana? Facciamolo velocemente, non perché lo vuole la politica, ma perché lo vogliono i pazienti campani. Quelli «dall’altra parte», compresi i medici come me oggi”.