La produzione a Napoli sta crescendo, ma non c’è abbastanza manodopera. Sembrerebbe paradossale per una città come la nostra, colpita dalla leggendaria “fuga” dei cervelli e dall’espatrio di numerosi giovani alla ricerca di un futuro. Tuttavia, è così.
Ma facciamo un passo indietro per capire “come” la produzione stia crescendo e in quale ambito. A parlarci di tale fenomeno, il quale, forse, rappresenta l’ennesima contraddizione della nostra città, è Ornella Auzino, l’imprenditrice napoletana che abbiamo già intervistato in passato in merito alla pelletteria napoletana. Ornella ci parlò della produzione a Napoli della pelletteria di lusso: una città, conosciuta soprattutto per la contraffazione, in realtà è sede del vero made in Italy. Una verità sconosciuta agli stessi napoletani, i quali non sanno che in realtà sono molti i marchi di fama mondiale che producono a Napoli.
“Negli ultimi anni la produzione sta crescendo notevolmente. I lavori affidati ai terzisti partenopei, anche da parte dei grandi marchi, è aumentato” ci dice Ornella.
Ricordiamo che anche tu sei terzista per un famoso brand di moda che non menzioneremo. Quando dici che la produzione sta aumentando ti riferisci al settore della pelletteria?
“Sì certo, mi riferisco alla produzione di borse, portafogli, cinture, scarpe e tutto l’ambito della lavorazione delle pelli. Ci sono dentro completamente e posso constatare che i ritmi di produzione sono aumentati perché sono aumentate le commissioni. A me, come agli altri “colleghi” produttori, se così si possono chiamare…”
Ti riferisci alla competizione nel settore?
“Beh, è quasi matematico: quando la produzione e il lavoro aumentano, aumenta anche la competizione. Ma questo accade in ogni ambito. E qui la gara si gioca con le carte della manodopera: vince chi si accaparra la manodopera migliore, quella specializzata.”
Perché parli di “gara” in questo senso?
“Perché è diventata una gara. Purtroppo e paradossalmente, a Napoli, attualmente, manca la manodopera specializzata. La nostra città ha una ricca e profonda storia di artigianato nel settore della pelletteria. Abbiamo sempre posseduto conoscenza e capacità. Il problema è che non c’è stata la trasmissione. Già nel 2016, il Press, la Testata ufficiale del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, in base al rapporto Svimez e ai dati Istat, parlò di questo: la crisi che investe ancora il sud potrebbe essere “curata” anche dalla creazione di laboratori che riprendano i lavori artigianali del territorio (orafi, ricamatori, pellettieri), i quali soffrono della carenza di manodopera specializzata.”
A chi, secondo te, si possono attribuire le colpe, se esistono?
“Non si tratta di colpe, ma di ingranaggi mal funzionanti. Da un lato, le istituzioni non si sono realmente occupate, al sud, di creare una rete tra i giovani studenti e il mondo del lavoro: avrebbero potuto attingere proprio ai settori che hanno rappresentato sempre una forza, come la pelletteria.
“Dall’altro gli imprenditori, ahimé, non hanno avuto la lungimiranza di coltivare i ragazzi, di creare in loro la passione, di stimolarli. L’artigianato delle pelli si è chiuso in un ghetto pieno di ombre, nascondendosi quasi, anziché mostrare al mondo tutta l’energia che possiede. Questo è dovuto anche al mercato della contraffazione, il quale ha sporcato un settore che poteva, invece, diventare un fiore all’occhiello della nostra città. E presto lo sarà.”
Si tratta di ottimismo, il tuo, o previsioni personali?
Forse entrambi. Sono una persona abbastanza ottimista, salvo quando la tragedia non è proprio imminente e percettibile. Ma in questo caso, si tratta anche di visibili evoluzioni. Per esempio, ora anche in Campania esistono i percorsi scuola-lavoro, finanziati dai fondi pubblici, che prevedono la frequenza degli istituti tecnici che sono supportati dal lavoro in azienda. Per cui, i giovani possono entrare in fabbrica e lavorare accanto a chi può trasmettere loro il know-how. Un’ottima iniziativa che dovrà essere mantenuta tale dal comportamento degli imprenditori.”
In che senso? Qual è il vero rischio?
“Anche io sono un’imprenditrice, ma devo comunque riconoscere le falle della categoria. Purtroppo si potrebbe verificare, da parte di qualcuno, una sorta di utilizzo a proprio vantaggio dell’iniziativa. Mi spiego meglio: ingaggiare, a costo bassissimo perché sovvenzionato, giovane manodopera senza realmente occuparsi della formazione, cioè senza provvedere alla crescita professionale degli studenti. Perché le aziende in questo settore, purtroppo, non sono efficienti quando si parla di formazione. Bisogna ammetterlo, come bisogna ammettere anche i meriti, insabbiati dalle cattive notizie che ci travolgono, ingiustamente, ogni giorno”.