Francesco Di Bella, Vent’anni tour al Lanificio 25: “Il Sud? È casa mia e lo difendo”
Apr 11, 2018 - Claudio Palumbo
Francesco Di Bella si racconta e ci racconta vent’anni di musica. L’ex frontman dei 24 Grana venerdì 13 aprile sarà protagonista con “Vent’anni tour” al Lanificio 25.
Abbiamo incontrato Francesco Di Bella che Venerdì 13 Aprile chiude il cerchio. Un cerchio lungo vent’anni e che sicuramente sarà un rituale di passaggio di una carriera longeva e che già lo proietta verso il futuro. Lo fa giocando in casa, e non poteva essere altrimenti, in un concerto evento che si terrà a. Lanificio 25, l’ex sala della lana dismessa nei pressi di Porta Capuana che da dieci anni è diventato piccolo spazio di culto per gli amanti della musica dal vivo.
Francesco Di Bella , leader di uno dei gruppi chiave della scena indipendente italiana degli anni ’90 e non solo, come i 24 Grana, protagonisti assoluti del rinnovamento in chiave rock e cantautoriale della nuova scena partenopea ma anche dell’ardita sperimentazione indie italiana, sarà sul palco in compagnia della band che lo supporta nel suo lavoro solista come Andrea “Fish” Pesce, Alessandro Innaro, Alessandro De Fabritiis e Fofò Bruno.
L’artista napoletano porterà sul palco le tracce provenienti da “Francesco Di Bella & Ballads Cafè”, dove reinterpreta in tinte spassionatamente folk e sicuramente più intime i successi del suo ex gruppo e quelli del disco di inediti “Nuova Gianturco”, concept album sulle periferie della “napoletanità” tanto apprezzato da pubblico e critica, che ha visto tra le altre la partecipazione di amici di vecchia data come Zulù e 99 Posse, Neffa, Dario Sansone dei Foja e Claudio Gnut Domestico.
La turnée di “Vent’anni tour” si chiude, per l’appunto, nella città natale de “Lu cardillo” dopo le tappe di Milano, Roma, Pisa e Castelcivita (SA) .
Vent’anni da festeggiare, partendo dall’immaginazione di un viaggio che comincia con “Mataversus” (1999) in cui tu dici “ Tengo ‘a collera ‘e chi è stato tutto ‘o tiemp a se capì, fosse per me nun turnasse maje cchiù”. Da qui poi si passa a “Nuova Gianturco” (2016), dove c’è l’effettivo ritorno alle origini, alla periferia. Cosa cambia, una volontà matura o un esigenza di ritornare a casa?
Nuova Gianturco scaturisce sicuramente dal fatto che dopo tanti viaggi ti rendi conto di quanto è importante il posto da cui sei partito, e sopratutto l’esigenza di guardare come la periferia come un posto rinascente dove c’è un momento di disgregazione sociale abbastanza evidente.
Nell’album racconto proprio l’origine di quello che abbiamo iniziato a fare, anche come musicisti, come movimento artistico e culturale negli anni scorsi, in posti che vengono considerati come dei deserti dal punto di vista culturale e sociale ma sono quelli i posti, che magari grazie a movimenti e associazioni riescono a rinascere, quindi il nostro era uno sguardo poetico e felice verso questo tipo di situazioni.
Possiamo quindi dire che “Nuova Gianturco”, dandogli una collocazione metaforica, è più la visione di una periferia qualsiasi come ce ne sono tante e che ha bisogno di un riscatto sociale, o è anche il fulcro di una possibile rinascita musicale, come magari ai tempi di “Officina 99”?
Esattamente, ci sono tante “Nuova Gianturco”, situazioni come anche l’ex “Opg” occupato che ha dato vita ad un movimento arrivato su scala nazione come “Potere al Popolo” che ha avuto il coraggio anche di presentarsi alle ultime elezioni politiche, nel disco mi auspicavo proprio la nascita di movimenti dal basso.
Passando a te invece, sei partito da contesti abbastanza minimali come quelli dei club. Ti sei poi ritrovato coinvolto in eventi molto importanti come festival, aprendo concerti come quelli di Vasco Rossi e Ben Harper fino a ritornare ad una concezione di nuovo abbastanza intima. È stata un’evoluzione fisiologica o dettata dalle ambientazioni sonore?
Sicuramente dopo una bulimia di grandi concerti (ridendo) è stato bello ritornare nei piccoli club, magari cantando per poche persone ponendo l’accento proprio sul significato delle parole e quindi creando questa connessione tra parole, musica e nuovo scambio di sensazioni, oltre che le chiacchierate che fai stando a contatto con le persone. Uno scambio molto più diretto che ha significato anche una maturazione come cantautore e come persona.
Grande empatia con il tuo pubblico quindi. Invece rispetto al rapporto con il visivo come cambia la tua percezione di artista? Hai lavorato con grandi registi, molto in auge nella contemporaneità come Cosimo Alemà e Francesco Lettieri.
Mi è sempre piaciuto affidare a registi visionari le canzoni e cercare comunque molta libertà nel raccontare le storie, come a me piace lasciare libere le persone di interpretare le canzoni e quindi deve esserci questa complicità nel fare qualcosa insieme.
Il videoclip però deve rappresentare solo un aspetto della canzone non nella sua definitiva interezza, come soluzione alla canzone.
Sono molto contento dei risultati, come della canzone “Aziz” girata proprio a Gianturco che era un mio grande desiderio, con Cosimo ci siamo incontrati in treno, non ci vedevamo da un po’ avevamo già lavorato insieme in passato per una canzone con Marina Rei e lui stava ascoltando proprio “tre nummarielle” (canzone dell’ultimo album) e ci siamo incontrati a Gianturco dove gli ho raccontato della storia del territorio e lui mi dice che il video doveva a quel punto farlo lui (ride).
Tornando indietro, con i 24 Grana siete stati grandi sperimentatori nella scena degli anni ’90, una sperimentazione che nasceva anche dall’esigenza di dire qualcosa. Oggi che la scena locale vede nella trap e hip hop forse maggior intrepidezza seppur condito da molto “style”, molta attitudine rispetto forse ad una vera esigenza, tu come ti poni di fronte all’evoluzione musicale e della suddetta scena?
Ti posso sicuramente dire che con i 24 Grana ho avuto grandi compagni di viaggio, dove ci siamo buttati a capofitto in tante situazioni e hanno avuto il pregio e l’abilità di seguirmi nei voli più pindarici (ride) e quindi è successo quello che è successo. Oggi c’è ancora tantissimo e penso che il modo migliore di sentire la musica sia andare a vedere le cose dal vivo, lì capisci gli artisti come si esprimono. Poi è anche bello seguire gli artisti attraverso tutti i supporti e i device possibili,. L’importanza e la verità di una scena la capisci poi quando la frequenti, bisogna incuriosirsi a quello che la gente ci vuole dire a prescindere dalle cosi dette scene trasversalmente dalla sua collocazione.
Ad oggi, quindi, in riferimento ad esempio al risultato di Sanremo dove la musica di matrice più tradizionale napoletana attecchisce poco a livello nazionalpopolare, pensi che il dialetto possa essere un limite o un vantaggio?
Dipende dalla verità che sottende, da quello che fai e vuoi proporre. Poi penso che non è tanto importante il risultato che puoi avere oggi, ma rispetto a certe cose il risultato lo percepisci poi.
Anche rispetto ai 24 Grana, tante cose le si capiscono oggi rispetto a quando stavano succedendo, sono abbastanza sicuro che non abbiamo la piena percezione di quello che gli artisti vogliono esprimere, quindi il risultato ad esempio di un Sanremo interessa relativamente.
Rispetto a Napoli, che ha visto un forte sviluppo di certe realtà dal basso come l’ex Opg occupato o le associazioni, riconosciute anche dal sindaco de Magistris, ad oggi puoi esserci ancora una forte connotazione sociale e politica nelle canzoni?
Secondo me assolutamente sì, penso ci sia sempre una profonda connotazione meridionalista nella musica napoletana. Io non ho idee neoborboniche ma riscontro una forte passione “sudista”, ad esempio in “Nuova Gianturco” mi è piaciuto rilanciare “Brigante se more” con Dario Sansone e Gnut, come nella scena degli anni ’90 dove oltre noi c’erano gli Almamegretta o 99 Posse che avevano degli inni “sudisti”. Oggi questa passione c’è ancora nelle nuove generazioni, abbiamo ribadito questa nostra appartenenza, come ad esempio in chiave folk per quanto mi riguarda.
Quindi tu ti senti artista globalizzato o portavoce “sudista”?
Se parliamo di globalizzazione da un punto di vista di influenze dalla musica che proviene da tutto il mondo quello sì, perché ascolto a 360 gradi anche prima di acquisire una coscienza politica. Che poi comunque io difenda sempre il Sud, il Mezzogiorno che è casa mia, quello è scontato, cantando anche nella mia lingua da sempre e difendendola.
Per quanto riguarda invece, tornando a noi, il concerto di Venerdì sera al Linificio, cosa ti aspetti? Anche da un punto di vista di accoglienza e di aspettative.
Possiamo definirlo un concerto di passaggio prima di un nuovo disco che uscirà in autunno, quindi sono molto contento, avrò modo di festeggiare questi vent’anni in tour incontrando persone come ho sempre fatto. Arriviamo ruggendo verso il nuovo album passando per il Lanificio che è un posto che negli ultimi anni mi ha dato parecchio.
Rispetto quindi a quello che hai in progetto per il futuro, il nuovo lavoro sarà qualcosa sulla scia di “Nuova Gianturco” o sarà qualcosa di completamente diverso?
Chi sa come mi comporto in studio di registrazione sa che mi piace sempre mischiare le carte in tavola, avere sempre attitudini diversi. Ho trovato una band fedele che ho portato anche in studio e stiamo componendo canzoni in un periodo breve di tempo, avendo questa urgenza di comporre. Sono comunque molto preso da questo lavoro e sarà un disco registrato in maniera molto diretta.
INFO DELLA SERATA
Apertura cancelli 21.30. Ingresso 10€ solo alla cassa, non ci sarà prevendita. Tesseramento obbligatorio gratuito.