Il reddito di cittadinanza? C’era già ai tempi dei Borbone. Come funzionava
Mag 19, 2018 - Antonio Gaito
I territori del Regno delle Due Sicilie
In periodo di campagna elettorale si sa che i massimi esponenti dei partiti sono soliti introdurre elementi di novità e fare le proverbiali “promesse” che, però, non sempre vengono mantenute una volta che le urne elettorali si sono espresse. Nel corso dei dibattiti, che hanno preceduto le ultime elezioni politiche, è stata paventata la possibilità, da parte del Movimento 5 Stelle, di attualizzare il cosiddetto “reddito di cittadinanza” a beneficio delle fasce meno abbienti della popolazione.
Proposta che ha suscitato non poco scalpore e di assoluta novità, per il panorama politico italiano, quella portata avanti da Di Maio e soci. Se volgiamo, però, lo sguardo verso il passato vi è stata una compagine politica che garantiva un sussidio minimo per gli esponenti meno fortunati del proprio tessuto sociale. Stiamo parlando del Regno delle Due Sicilie.
Grazie ad una ricerca effettuata presso la Collezione delle Leggi e dei Decreti del Regno delle Due Sicilie ci si è imbattuti nel decreto Reale n. 131 del 4 gennaio 1831 che prevedeva, infatti, il conferimento di un “assegno di disoccupazione per coloro i quali non possono assolutamente con il loro travaglio sostenere se medesimi e la di loro famiglia”.
Queste agevolazioni erano temporanee o perpetue a seconda della gravità della condizione di salute dell’interessato che era fisicamente impossibilitato a guadagnarsi da vivere col proprio lavoro. Qualora l’assegno fosse stato temporaneo spettava solo ed unicamente alla Commissione decidere se questo doveva essere rimosso o prolungato, a patto che non diventasse un deterrente d’ozio. Nel momento in cui la decisione della Commissione non avesse soddisfatto il richiedente, questi avrebbe avuto anche la possibilità di presentare ricorso.
Gli organi di potere dello Stato borbonico misero a disposizione della Commissione un fondo speciale dal quale fare prelievi per “soccorsi urgenti”. Giovani orfani, vedove con figli piccoli, persone anziane, ciechi e tanti altri ancora godevano di un trattamento preferenziale, il tutto nel massimo rispetto della privacy e della dignità dei beneficiari.
Nel decreto si legge infatti: “considerando esservi degl’individui o famiglie di tali condizioni che aborriscono il far manifesta la propria indigenza, la Commessione assumerà a sé il pietoso ufficio di ricercarle e conoscerle in modi occulti e diligenti onde prestar loro il soccorso che meritano con l’obbligo di custodire segretamente quelle notizie”.
In un’Italia che spesso pare viaggiare a due velocità e che vede un divario economico troppo marcato tra il quadrante meridionale e quello settentrionale del paese, la proposta di un reddito di cittadinanza è parsa, a chi l’ha proposta, una valida “cura” per questo male. Tale assistenza deve essere però solo il palliativo che conduce ad una reale riduzione di quel divario ed alla risoluzione del vero problema dello Stato italiano: la mancanza di lavoro. La sconfitta della disoccupazione supererebbe, in convenienza ed efficacia, qualunque forma d’assistenzialismo piovuto dal cielo.