Francesco Schettino, ex comandante condannato a 16 anni di reclusione per il tragico naufragio della Costa Concordia, ha reso pubblico un memoriale di circa 10 pagine in cui si difende ancora e si discolpa. Nel testo, scritto dal carcere di Rebibbia prima della sentenza definitiva della Corte di Cassazione, è stato redatto in inglese e tradotto e diffuso in italiano dalla figlia Rossella. Il Mattino ha pubblicato stralci di queste dichiarazioni.
“Credo di essere stato la prima persona a subire l’uso improprio dei social network – denuncia Schettino – che può condizionare e orientare l’attenzione dell’opinione pubblica. Il reato di abbandono della nave è stato utilizzato per fuorviare e ingannare l’opinione pubblica, fomentare odio e risentimento verso la mia persona e scoraggiare la serena comprensione di quanto accaduto”.
L’ex comandante dichiara, quindi, di non aver abbandonato la nave fino alle 00:17 e di averlo fatto poi solo perché impossibilitato a restare a bordo per le condizioni stesse dell’imbarcazione: “La superficie al di sotto dei miei piedi – scrive- diventò un muro verticale e fui costretto a scegliere se cadere in mare o indirizzare la caduta sul tetto della lancia di salvataggio”. Una versione che, in verità, coincide anche con le dinamiche del naufragio.
Schettino ha anche parlato della telefonata con De Falco, divenuta presto virale per il modo perentorio con cui quest’ultimo aveva intimato al comandante della nave di tornare a bordo: “De Falco aveva ignorato tutte le informazioni ricevute e non aveva compreso nulla delle operazioni che stava coordinando. Per tornare sulla nave sarebbe stato necessario un elicottero.”
Per questo motivo Schettino ha attaccato duramente l’azione dei media: “L’opinione pubblica ha cristallizzato l’immagine di un comandante che scappa e non quella di una nave che si può abbattere. La divulgazione di una telefonata di per sé inutile è stata sfruttata per condizionare l’opinione pubblica e anticipare così il fenomeno delle fake news“.