Un anno fa fumo, cenere e aria irrespirabile. L’11 luglio del 2017 sarà ricordato per sempre come uno dei giorni più brutti della storia del Vesuvio, simbolo di Napoli, della nostra terra. Il vulcano infuriava l’incendio più drammatico di sempre, per la mano distruttrice dell’uomo. 1980 ettari bruciati, un terzo del Parco Nazionale istituito nel 1995.
Una carneficina ambientale, una catastrofe. I primi roghi, scoppiati il 23 giugno, sono terminati il 16 luglio. Un mese di fuoco. L’inferno che si materializza: il Vesuvio da Napoli non si vede più, in molti sono costretti a lasciare le proprie abitazioni, qualcuno finisce in ospedale, intossicato.
Giorni di terrore e di desolazione. La natura che muore, l’aria contaminata, il panorama defraudato della sua bellezza.
In questi giorni concitati, vissuti da molti con gli occhi al cielo, sperando nei miracoli dei canadair, le indagini sui responsabili dei roghi sono state fitte, quasi precipitose. Eppure, a parte il macellaio di Torre del Greco, nessun altro presunto colpevole è stato individuato.
Tante le piste investigative: business della bonifica e della riforestazione; economia dei rifiuti e dell’abusivismo; vandalismo urbano o turbe psichiatriche.
Quello che è certo è che le istituzioni sono state colte totalmente impreparate: ritardo nella pianificazione, nella prevenzione e nel controllo.
Purtroppo, per quanto possa essere giusto e doveroso stanare i colpevoli, la condizione del Vesuvio è compromessa. A un anno dal disastro presenta un notevole incremento dell’instabilità meccanica degli alberi e una ridotta fruibilità di percorsi naturalistici e turistici, oltre che, come detto, quasi duemila ettari di vegetazione andati persi.
Un attentato alla bellezza naturale della nostra terra, un disastro che è un triste primato indimenticabile per Napoli.