La fedina penale degli 11 ragazzi che, nel 2016, stuprarono una ragazzina allora 15enne a Pimonte resterà pulita. Uno di essi aveva 13 anni nel momento del reato, dunque non era imputabile, mentre gli altri dieci hanno superato il periodo di 18 mesi di messa alla prova. Alcuni andranno a lavorare a tempo pieno, altri si sono dedicati allo studio e presto prenderanno il diploma.
La ragazzina, intanto, da alcuni mesi si è trasferita all’estero, in Germania, con tutta la famiglia. I suoi stupratori infatti continuavano a vivere nel suo stesso paese, circostanza insopportabile sia per lei che per i suoi genitori. “Se fosse successo a mia sorella li avrei uccisi”, così commentò uno dei 10 ragazzi.
La messa alla prova è un istituto dell’ordinamento giuridico italiano e comporta la sospensione del processo. Con la sospensione del procedimento, l’imputato viene affidato all’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie:
– l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività.
– l’attuazione di condotte riparative, volte ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato.
– il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato.
Per quanto concerne i minorenni, la messa alla prova ha lo scopo di non “macchiare” la fedina penale, una circostanza che potrebbe influire per tutta la vita e condizionare il ruolo all’interno della società. Il fatto che il reato si sia svolto in età molto giovane non indica, secondo il legislatore, che quella persona abbia una personalità che tende alla trasgressione della legge, dunque al giovane si dà una seconda opportunità.
Terminato positivamente il periodo di messa alla prova, il giudice dichiara il reato estinto con sentenza e il minore imputato viene prosciolto. Un esito negativo, al contrario, comporta l’inizio del processo e l’eventuale condanna per i reati a lui attribuiti.