“Ho visto le soffitte di Torino e i miei conterranei viverci dentro come topi, ho visto l’intolleranza e il disprezzo, l’ingordigia. Nessun fondamento umano o divino afferma che la mia gente debba essere umiliata proprio da chi la sfrutta“.
– Nicola Zitara
Così scriveva l’autore calabro Zitara quando raccontava la condizione degli immigrati meridionali a Torino, dove molti proprietari di appartamenti si rifiutavano di affittare loro gli alloggi.
A partire dal primo dopoguerra, Torino è stata interessata da un pesante flusso migratorio che, iniziato nei primi anni Cinquanta, ha raggiunto il suo apice negli anni Settanta del Novecento. A partire erano soprattutto uomini e donne del Sud Italia, attratti dalle possibilità lavorative offerte dalle fabbriche torinesi.
Ma l’arrivo dei meridionali in città portò ad una discriminazione razziale che assunse le sembianze dei cartelli affissi ai portoni delle case con la frase “non si affitta ai meridionali” e che passarono attraverso epiteti carichi di astio (napuli, terroni, mau mau) coniati dai torinesi per identificare le persone nate al sud.
Il documentario “I bambini e noi” degli anni Settanta è di Luigi Comencini e mostra come migliaia di meridionali erano costretti a vivere in soffitte e cantine fatiscenti.
Le immagini mostrano gli alloggi di fortuna che venivano dati ai meridionali, senza acqua, senza bagno, con i tetti pericolanti. Nelle cantine e nelle soffitte, dove prima i torinesi ci stipavano legna e mobili vecchi, con l’arrivo dei meridionali sono diventate sorgenti di rendite sicure.
Si arricchirono sulle tristi condizioni di uomini che sfruttavano nelle loro aziende, delle donne e dei bambini.