Quando si parla di lauree umanistiche il terreno si fa sempre accidentato e complesso. Ritenute da molti obsolete e senza sbocchi professionali, le lauree umanistiche stanno pian piano perdendo la loro ragion d’essere. Nessuno vuole più iscriversi perché, è sotto gli occhi tutti, con queste non si trova lavoro. Eppure la situazione reale sembra essere ben diversa seppur poco conosciuta.
Negli ultimi anni sono stati spesi fior fior di trattati sulla presunta “inutilità” delle lauree umanistiche e sulla mancanza di sbocchi professionali concreti e redditizi. Discorsi pericolosi per chi reputa, come il docente Luigi Berlinguer che “Se sparisce l’area umanistica sparisce la scuola e sparisce la vita”. Una frase semplice capace di racchiudere in sé un grande concetto. La cultura, l’arte e la letteratura fanno parte della vita e soprattutto fanno parte di quel processo di costruzione identitaria indispensabile alle società moderne.
A queste riflessioni vanno poi aggiunti i numeri di AlmaLaurea che, inaspettatamente, rivelano l’altra faccia dei percorsi umanistici, sfatando alcuni falsi miti divenuti oramai opinione condivisa. “A cinque anni dalla laurea, si raggiunge un buon tasso di occupazione anche per i laureati in scienze umane e sociali: lavora l’85% contro il 91% delle lauree tecniche” a ben guardare insomma, la questione sembra essere sostanzialmente diversa da quanto immaginato.
Il professor Andrea Cammelli, direttore e fondatore di AlmaLaurea, prova a dare una lettura diversa dei dati pubblicati anche da noi nell‘articolo “AlmaLaurea: ecco quali sono le facoltà più inutili”. Per sgombrare il campo dagli equivoci il professore ci tiene a sottolineare che “Prima di leggere i numeri una premessa d’obbligo: quando parliamo di lauree umanistiche dobbiamo considerare che si tratta di titoli di studio generalisti che hanno applicazione in diversi ambiti professionali. Al contrario, i titoli tecnici sono specialistici e interessano ambiti molto precisi”.
Non è esatto dire che le facoltà umanistiche non danno lavoro e il perché se lo spiega proprio il professore: “Dobbiamo ricordare innanzitutto che i laureati in discipline umanistiche hanno tempi di inserimento e realizzazione professionale più lunghi. Ad esempio, i laureati dei percorsi letterari hanno come sbocco naturale quello nell’insegnamento che ha note difficoltà di inserimento e valorizzazione. Poi ci sono i laureati del gruppo giuridico, che hanno tempi lunghi di specializzazione professionale post-laurea. E’ ovvio che con queste premesse è difficile riuscire a rilevare performance brillanti fin da subito, ad esempio rispetto a un ingegnere. Ma, nei primi cinque anni dal titolo si raggiunge un buon tasso di occupazione, e le iniziali differenze rispetto alle lauree tecnico-scientifiche si riducono. A un anno lavora il 65% degli intervistati appartenenti alle lauree umanistiche contro il 77,5% delle lauree tecnico-scientifiche; a cinque anni lavora l’85% contro il 91% delle lauree tecniche- scientifiche”.
Troppo spesso a rendere la situazione ancora più esasperata, l’abitudine di stilare classifiche e graduatorie che, troppo spesso, finiscono con il dare una rappresentazione distorta e parziale della realtà “Perché gli elementi da tenere in considerazione per evitare di prendere abbagli sono tantissimi. Prima di tutto capiamo cosa si intende per lauree umanistiche: all’interno ci sono i gruppi economico-statistico, giuridico, insegnamento, letterario, linguistico, politico-sociale, psicologico e difesa e sicurezza. Quindi ambiti disciplinari profondamente differenti l’uno dall’altro, con caratteristiche formative, di provenienza degli studenti, di aspettative lavorative e di percorsi professionali molto distanti. Tutti fattori, al di fuori del controllo degli atenei, che possono incidere sul risultato occupazionale dei laureati”.
Anche dal piano di una coerenza lavorativa le discipline umanistiche possono offrire belle opportunità perché “In generale si rileva una buona coerenza tra studi compiuti e ambito professionale di inserimento lavorativo. Ad esempio, i laureati in lettere risultano occupati prevalentemente nell’ambito dell’istruzione, i laureati in giurisprudenza negli studi professionali. Poi ci sono i laureati in ambito politico-sociale, che avendo ricevuto una formazione polivalente, meno specialistica e settoriale, si “disperdono” in più ambiti lavorativi: pubblicità, commercio e altri”.
Il curriculum di un laureato in scienze umanistiche può risultare molto più appetibile, quindi, per un azienda perché “la formazione umanistica consente di imparare ad apprendere, consente una maggiore apertura mentale, e una valorizzazione professionale adatta a molteplici ambiti lavorativi”