Gaetano Formicola, rampollo del clan omonimo, detto “‘O chiatto”, e Giovanni Tabasco, cugino di Formicola, detto “Birillino” per l’omicidio del diciottenne Vincenzo Amendola, hanno avuto una condanna a trent’anni di reclusione.
Dunque alla fine del processo d’appello, il giudice ha accolto le richieste avanzate dal Pubblico Ministero. Condannando, di fatto, al massimo della pena entrambi gli imputati.
La terribile accusa che pendeva sui due imputati era di omicidio premeditato aggravato dai futili motivi e dalla finalità camorristica. Quest’ultima aggravante è caduta nel corso del processo di appello, nel quale i due erano difesi dagli avvocati Leopoldo Perone e Claudio Davino.
Alla sbarra c’era anche Raffaele Morra. Questi, come terzo imputato, avrebbe partecipato all’occultamento del cadavere del ragazzo e per il quale è stata avanzata la richiesta di sei anni di reclusione.
L’accusa ha chiesto anche la pena di quattro anni e mezzo di reclusione per il proprietario del fondo agricolo di San Giovanni a Teduccio, dove il ragazzo è stato materialmente seppellito.
I genitori del ragazzo si sono, invece, costituiti parte civile nel processo.
Vincenzo Amendola fu brutalmente ucciso dai due, dopo essere scomparso il 5 febbraio del 2016. Lo sfortunato ragazzo fu costretto a scavarsi, letteralmente, la fossa da solo. All’epoca, Amendola, neo diciottenne, si vantava di avere una relazione con la moglie del boss, detenuto al carcere duro, e di avere alcune foto compromettenti con lei.
La notizia arrivò fin dentro le mura della casa circondariale, all’orecchio del boss che ne parlò coi suoi familiari. Secondo la ricostruzione della Procura, il boss, dopo aver discusso col figlio Gaetano decise per l’eliminazione di Amendola. Il figlio avrebbe poi agito con l’aiuto del cugino e di Raffaele Morra, il quale avrebbe partecipato soltanto all’occultamento del cadavere.