Scrittrice parla di accoglienza. Leghisti: “Ti devono violentare brutta t…”
Giu 12, 2019 - Domenico Ascione
La scrittrice Michela Murgia ha recentemente parlato di accoglienza e di come sarebbe giusto ed etico cercare di salvare più vite possibile. L’estratto delle sue dichiarazioni è stato postato sul gruppo Facebook “Gruppo Uniti a Salvini”, con oltre 13.595 sostenitori del Governo leghista. La sfilza di commenti sotto l’articolo è una vergognosa sequenza di offese sessiste, minacce e istigazioni.
Tantissimi i commenti inerenti all’aspetto della scrittrice: in molti la definiscono brutta, altri che prenderebbero a schiaffi le sue guance, definite grasse. La maggior parte, però, è composta da inviti alla donna a farsi violentare dai migranti, colorendo tali orrori con altrettante offese sull’aspetto e sulla sessualità della Murgia. Quello che stupisce maggiormente è che molti di questi commenti sono scritti da donne.
La stessa scrittrice ha denunciato l’accaduto sulla sua pagina Facebook ufficiale:
“Non sono una persona insicura né fragile. – commenta la donna pubblicando gli screen dei vari commenti – Che questa gente mi auguri la morte, lo stupro o mi insulti mi importa poco a titolo individuale. Davanti a questa violenza faccio le sole cose sensate: segnalare il gruppo a FB (cosa che vi invito a fare a vostra volta) e denunciare le persone che hanno scritto le cose penalmente rilevanti.”
“Le pagine di sostegno al governo leghista – accusa – che consentono questo linguaggio hanno come scopo l’intimidazione. Non tanto rivolta a me, che ho sempre detto quello che penso e continuerò a farlo, ma a chiunque possa pensarla nello stesso modo e abbia intenzione di dirlo apertamente, in modo particolare se donne.
Lasciare questa sequenza di commenti in un gruppo aperto dedicato a Matteo Salvini manifesta l’intenzione di “punirne una per educarne cento”, facendo vedere a tutti cosa succede a chi ha idee diverse dalle loro e si permette di manifestarle apertamente. Questo comportamento ha un nome: si chiama squadrismo ed è l’espressione pratica della violenza come metodo politico. Qualunque leader politico democratico – specialmente uno che fa spendere ai cittadini 404 mila euro all’anno di stipendi per pagare chi si occupa della sua comunicazione – si dissocerebbe immediatamente da chi usa metodi simili. Il ministro degli interni, che di solito è pronto a twittare su qualunque cosa, invece in casi come questi tace.
Indicare come bersaglio dell’odio chi esprime dissenso non è un problema né per lui né di conseguenza per il suo staff, perché è un metodo condiviso e praticato ai livelli più alti del partito, dagli insulti sul web alle bambole gonfiabili delle donne avversarie ai comizi, dalle facce dei dissidenti esposte sui manifesti ai raduni di piazza ai “bacioni” di sberleffo agli scrittori sotto scorta, fino alle botte a chi espone scritte sovversive come “ama il prossimo tuo”.
Questo gruppo lo faremo chiudere. – conclude – Cento altri ne sorgeranno e faremo chiudere anche quelli. Ma quando è chi governa a legittimare questo registro, l’azione della violenza è pedagogia di stato.”