Lettera d’addio di un vetraio suicida per gli usurai: “Perdonami, così spero non ti daranno fastidio”
Lug 02, 2019 - Alina De Stefano
La disperazione, la ristrettezza economica, la voglia di sopperire a questa situazione di disagio in maniera celere porta spesso alcune persone a ricorrere a prestiti facili, la cui immediatezza è ripagata con un invisibile ma asfissiante chiappo alla gola, che stringe sempre di più fino a condurre le vittime a gesti estremi.
E’ stato questo il caso di un vetraio, che nel 2014 decise di toglieri la vita, per estinguere il suo debito da versare agli usurai, con la vita. Una situazione insostenibile, che ha spiegato nel dettaglio in una lettera lasciata alla moglie nella quale ha cercato di dare un senso alla sua morte, la quale avrebbe portato senerità alla sua famiglia, come riporta Il Corriere del Mezzogiorno:
“Spero che dopo di questo non ti daranno più fastidio, almeno con questo gesto spero di sanare alcune cose. Può darsi che questo serva a cambiare alcune cose, so che soffrirai, ma ti ripeto sto male, non riesco più a ragionare, trascuro persino il lavoro. Anna, per unico conforto che ti posso dare in questo momento è dirti che ti ho amata sempre e sempre ti amerò. Perdonami. Sto facendo questo perché ho un forte senso di ansia procurato da persone intollerabili. Il fatto di non potere aiutare più nessuno della mia famiglia mi rende inutile. Non posso sempre vedervi piangere per me e la situazione. Addio“.
Ma il vetraio è solo una delle tante vittime dell‘”Allenanza di Secondigliano”, un’organizzazione camorristica che gestisce un’attività usuraia e illegale nella quale molte persone vengono attirate e sono poche, anzi pochissime quelle che riescono a trovare una via di fuga.
Anche un avvocato napoletano rimase vittima di questa organizzazione. Anche lui decide di farla finita e le sue sensazioni, il suo disagio, la sua frustrazione emerge in molte intercettazioni telefoniche tra lui e i duoi usirai.
Per il suicidio del vetraio sono indagate ben quattro persone: Giulio Barbella, Giuseppe De Rosa e i figli Antonio e Gennaro. Nomi che potrebbero essere legati anche allo scandono dell’Ospedale San Giovanni Bosco, scoperto feudo di questi soggetti che al suo interno avevano costruito con la paura e le minacce, una vera e propria attività personale. Infatti tra le loro attività risultano: appalti pilotati, assunzioni di amici e parenti per controllarne la gestione, esami gratuiti e senza rispettare le liste di attesa, ambulanze per trasportare a casa le persone decedute in reparto contro la legge e in nero.
Ora spetta agli inquirenti fare luce su questa storia e su tutte le vicende drammatiche che si intercollegano tra loro.