«Non ti rendi conto che non vogliono allarmare l’opinione pubblica? Lo sai cosa potrebbe succedere a tirare fuori quella roba? Una bomba atomica!». Queste le dichiarazioni che Carmine Schiavone, affiliato al clan dei casalesi e in seguito collaboratore di giustizia, ha rilasciato a Nadia Toffa nel dicembre 2013, in un servizio delle Iene interamente dedicato al fenomeno dello sversamento dei rifiuti tossici nella Terra dei Fuochi.
Nadia Toffa, scomparsa oggi dopo una lunga battaglia contro il cancro, è stata la prima Iena ad occuparsi del fenomeno. Nel primo servizio, andato in onda il 14 ottobre del 2013, l’inviata ha affrontato il rischio della contaminazione di frutta e verdura nei campi agricoli dei comuni della Terra dei Fuochi. Mentre nel secondo servizio, trasmesso il 3 dicembre 2013, la Toffa ha approfondito il rischio dell’avvelenamento delle falde acquifere del territorio intervistando, oltre a Carmine Schiavone, anche l’allora Presidente della Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti Massimo Scalia.
Nel 1997, Carmine Schiavone ha indicato a Massimo Scalia i luoghi in cui casalesi hanno sotterrato milioni di quintali di rifiuti tossici, ma tale dichiarazione viene secretata e pubblicata solo 16 anni dopo, nel 2013. Nonostante le confessioni di Schiavone fossero state messe in segreto, Scalia ha confermato che tutti erano a conoscenza del problema, perché «i nostri documenti andavano sempre ai ministri competenti e agli assessori e ai presidente di regione dell’area interessata».
«Fummo così sconvolti – continua Scalia – che suggerii che tutta quell’aria venisse inserita nel 1997 tra i siti di interesse nazionale per essere bonificata». Ma chi avrebbe dovuto bonificare i luoghi a rischio? «E’ responsabilità dei governi che si sono succeduti – ha affermato Scalia – sia a livello nazionale che a livello territoriale. La bonifica andava iniziata 16 anni fa, se si fosse cominciato da allora le bonifiche sarebbero già a buon punto».
Il commento della Toffa: «Insomma, la solita storia all’italiana: c’è un problema, lo si conosce perfettamente e non si fa nulla affinché questo stesso problema si trasformi in emergenza e diventa tragedia. E così, i soldi che servono per rimediare sono molti di più e, cosa ancor più grave, nel frattempo un sacco di persone o sono morte o si sono ammalate».
Tra gli ammalati c’è anche Roberto Mancini un poliziotto che per anni ha svolto sopralluoghi, pedinamenti e intercettazioni nei territori della Terra dei Fuochi. A causa di tali attività gli è stato diagnosticato il linfoma Non Hodgkin, un tumore maligno che colpisce il sistema linfatico impedendo la naturale circolazione del sangue nell’organismo.
«Questo tumore – afferma Mancini nel servizio – diagnosticato nel 2002, è stato certificato dal comitato di verifica del Ministero delle Finanze. E’ verosimile che questa neoplasia sia dipendente da cause di servizio, ovvero dall’attività svolta sullo sversamento dei rifiuti. La letteratura medica conferma che le neoplasie del sangue sono classiche di esposizioni a oggetti tossici e radioattivi. Nessuno mi aveva avvertito del rischio».
Le ricerche svolte all’epoca da Mancini sullo sversamento dei rifiuti hanno raccolto dati importanti circa il business economico del fenomeno, che oltre ad arricchire la malavita organizzata ha anche favorito lo sviluppo economico di grandi aziende italiane. Proprio a causa di tali scoperte, i documenti da lui consegnati nel corso l’indagine svolta sono andati persi.
«La mia indagine è sparita – afferma Mancini – perché sono andato a toccare interessi troppo forti di società indefinite di cui non è il caso dire il nome. Ho lavorato per la Criminalpol in anni molto particolari e ho assistito a sparizioni di documenti anche all’interno delle stazioni di polizia. Qualsiasi cosa vedo ormai non mi meraviglio più, perché so come funziona».
Nonostante la reticenza di Mancini nello svelare il nome delle aziende coinvolte nello sversamento dei rifiuti, nel corso del servizio rilascia una dichiarazione preziosa sulla natura di tali aziende e società: «Bisogna tenere presente che sono al massimo 20 le persone che gestiscono il ciclo dei rifiuti in Italia. Sono imprenditori, colletti bianchi, molti al nord e hanno rapporti con i proprietari delle discariche per attestare falsi smaltimenti e bolle falsificate. Tra le aziende erano coinvolte società di dimensioni nazionali che producevano elettrodomestici, concerie, compagnie petrolifere e società siderurgiche. Le società di cui parlo sono ancora nel mercato».
A conferma della consapevolezza della contaminazione delle acque, nel corso del servizio Nadia Toffa parla di alcuni accertamenti svolti, dal 200 al 2003, dall’Agenzia Regionale Protezione Ambientale della Campania (ARPAC). Nei documenti rilasciati a termine degli accertamenti si legge che tutti i valori delle terre e delle acque analizzate fossero nella norma. Gli stessi studi, però, ripetuti nel 2008, hanno offerto risultati del tutto diversi.
Nella relazione firmata dal geologo Giovanni Balestri, infatti, si legge: «Tutte le analisi ARPAC sono manifestamente NON corrispondenti alla realtà delle acque di falda campionate e comunque le analisi sono spesso “indirizzate” verso valori favorevoli. E’ ragionevole dedurre come molto probabile un aggiustamento dei valori di concentrazione riportati in questi certificati, tutti timbrati ma non firmati: una riprova può essere l’assenza dei metalli (come il Fe e il Mn), notoriamente presente in questa falda». Dalla relazione firmata da Balestri, pertanto, si palese la consapevolezza non solo del rischio tossico della zona ma anche che i valori sono stati modificati per occultare l’autentica gravità di tale rischio.
Tre anni dopo, l’Istituto Superiore Sanità svolge delle nuove analisi sulle acque della Terra dei Fuochi e scopre la presenza delle seguenti sostanze cancerogene: fluoruri, manganese, ferro, arsenico, triclometano, dicloroetilene e tricloroetilene.