La storia della plastica inizia nel XIX secolo. L’inglese Alexander Parkes, tra il 1861 e il 1862, mentre svolge studi sul nitrato di cellulosa, registra il primo materiale plastico semisintetico che chiamerà “parkesine”.
Da lì, questo materiale è stato studiato e maneggiato, fino a diventare una delle scoperte al centro degli anni ’60.
Si era usciti dalla Guerra e ci si stava rialzando. L’Italia si godeva il boom economico e imballava i suoi beni di consumo in involucri di plastica.
Oggi raccogliamo le conseguenze dell’abuso che si è fatto di questo materiale. Allora nascono campagne di sensibilizzazione plastic free, una ragazzina svedese ci dice di rispettare il pianeta, due bambine a Ischia seguono questa linea, alcune aziende abbandonano la produzione di plastica e si avvicinano a carta e materiali biodegradabili.
La storia ci insegna che l’uomo ha sempre avuto bisogno di sfiorare la catastrofe per ammettere i suoi errori e impegnarsi nel risolverli.
Vi delineiamo questa panoramica “generale” per poi scendere nel “particolare”, perché alla fine è vero: Tutto il mondo è paese.
Quel “particolare” che ci riguarda da vicino è una foto che ritrae l’Area protetta della Gaiola invasa da plastica e altri materiali inquinanti.
La foto in questione è stata diffusa dall’CSI Gaiola Onulus.
Se nel settembre del 2017 potevamo portare fieri il vanto della vincita di una gara, che vedeva la Gaiola come l’area marina protetta più bella d’Italia, oggi, davanti a questo scempio cosa dovremmo provare se non vergogna e rabbia?
E anche il rischio frana di cui si è parlato solo il mese scorso, sempre riferendoci a questo luogo, è in parte attribuibile all’azione umana. Infatti, l’utilizzo spesso incivile del kayak creerebbe un consumo della scogliera con conseguenze di possibili frane e crolli.
Insomma, possiamo giungere a un’unica conclusione: c’è urgentemente bisogno di un’autoeducazione al rispetto di persone e ambiente.
Molto spesso si sottovaluta una piccola azione, come quella di gettare l’involucro di una caramella in strada o addirittura in aree protette. Iniziamo a capirne la gravità per salvare il posto in cui stiamo, perché se non lo facciamo, finiremo per non salvare noi stessi.